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Quest’anno, il 10 marzo, 70° anniversario dell’assassinio di Placido Rizzotto, cade di sabato. Le scuole elementari a Corleone sono chiuse, perché fanno lezione su cinque giorni la settimana. Ma un gruppo di alunni e le loro maestre verranno lo stesso nella piazza del municipio a recitare le loro poesie dedicate a Placido, perché ormai questo sindacalista assassinato dalla mafia a soli 34 anni è entrato nel loro cuore, fa parte del loro “calendario della memoria”.
Verranno ancora una volta a dire alla città e all’Italia democratica che Rizzotto è un eroe, mentre i suoi assassini dei miserabili criminali. Non è un fatto scontato. Fino agli anni ’80 Placido Rizzotto, segretario della Camera del lavoro di Corleone, era uno dei tanti sindacalisti dimenticati, caduti sulla trincea delle lotte democratiche per la libertà e il lavoro in Sicilia. A strappare dall’oblio la sua figura furono nel 1983 un gruppo di giovani di “Corleone Alternativa”, sostenuti dalla Cgil. Da allora non è stato più dimenticato.
Adesso la sua storia fa parte anche del piano dell’offerta formativa (Pof) delle scuole di Corleone. Nelle scuole adesso si studia che Placido Rizzotto, prima di partire per la seconda guerra mondiale, era un semplice contadino semi-analfabeta. Ma, dopo l’8 settembre del ’43, lasciata la divisa militare, scelse di salire sulle montagne, con i partigiani delle Brigate “Garibaldi”, per combattere contro il nazifascismo. A Corleone tornò alla fine del 1945 e portò nuove idee, quelle imparate nei mesi trascorsi sui monti, al fianco dei giovani partigiani con i capelli biondi e i fazzoletti rossi.
Lo chiamavano “il vento del Nord”. Il suo soffio faceva paura ai padroni ed ai gabelloti mafiosi, ma riempiva di libertà i polmoni dei contadini, perché insegnava a non abbassare la testa davanti ai signori. Ma che i contadini rialzassero la testa non piaceva per niente ai grandi proprietari terrieri di Corleone. E non piaceva neppure alla mafia. Inizialmente, avevano pure ironizzato su Gullo e i suoi decreti, facendo finta di non conoscerli. Qualcuno di loro si era pure illuso di non farli applicare in Sicilia. I contadini e i loro dirigenti, però, in corteo e con le bandiere rosse, sempre più spesso occupavano quelle terre, rivendicandone la concessione. Contro di loro si scatenò la controffensiva degli agrari e della mafia, nel quadro di un disegno di normalizzazione del Paese.
Chi inquietava di più il capomafia Michele Navarra era quel giovane appena tornato dal Nord, Placido Rizzotto. Aveva provato ad “avvicinarlo”, ma non ci fu nulla da fare: Rizzotto non si fece né comprare né intimidire. La sera del 10 marzo 1948 fu l’ultima sera per Placido Rizzotto. L’incarico di “chiudere” la partita col giovane sindacalista don Michele Navarra lo diede al suo uomo di fiducia, a quel Luciano Liggio, che, con la sua ferocia, incuteva paura agli stessi 'picciotti'. Quella sera Rizzotto fu cacciato a forza sulla 1100 di Liggio e portato in contrada “Malvello”, dove venne pestato a sangue e assassinato e buttato nel ventre scuro di Rocca Busambra. Qualche giorno dopo, con un'iniezione venefica praticatagli in ospedale, venne ucciso pure il piccolo pastorello Giuseppe Letizia, che aveva assistito all’uccisione di Rizzotto.
Nell’estate del ’49, a Corleone arrivò un giovane capitano dei carabinieri. Si chiamava Carlo Alberto Dalla Chiesa e, come Rizzotto, aveva fatto il partigiano. Dopo alcune battute, proprio lui e i suoi uomini riuscirono ad arrestare Pasquale Criscione e Vincenzo Collura, che, il 4 dicembre 1949, interrogati nella caserma di Bisacquino, ammisero di aver partecipato al sequestro di Placido Rizzotto, in concorso con Luciano Liggio, che poi avrebbe ucciso la vittima con tre colpi di pistola. Ma, davanti ai giudici, entrambi ritrattarono, sostenendo che quelle confessioni erano state estorte dai militari con la violenza. E la giustizia ingiusta di allora assolse tutti gli imputati per insufficienza di prove.
La Cgil e i familiari di Rizzotto negli anni non si erano mai stancati di chiedere allo Stato di fare di tutto per ritrovare i resti del sindacalista assassinato, sia cercandoli negli archivi del tribunale dove probabilmente sono stati smarriti (o trafugati), sia effettuando nuove ricerche nella foiba di Rocca Busambra.
Nel 2008, in occasione del 60° anniversario, l’appello fu raccolto dal Commissariato di pubblica sicurezza di Corleone, diretto dal dottor Filippo Calì, che diede mandato a due suoi uomini – Antonino Melita e Vincenzo Calipari – di condurre delle attente e scrupolose indagini su Rocca Busambra per tentare di trovare il corpo di Rizzotto. Fu individuata la “ciacca” dove Liggio e i suoi “picciotti” la sera del 10 marzo 1948 avevano gettato il corpo senza vita del sindacalista.
La procura della Repubblica di Termini Imerese autorizzò il recupero dei resti umani dalla fenditura di Rocca Busambra, profonda oltre 100 metri. I resti recuperati furono inviati al laboratorio della polizia scientifica di Roma. La Procura ha inoltre autorizzato la riesumazione dei resti di Carmelo Rizzotto, padre del sindacalista assassinato, deceduto nel 1967, da cui è stato prelevato il materiale organico necessario per effettuare un’attendibile comparazione del Dna. E finalmente il 9 marzo 2012 arrivò la notizia tanto attesa. In una conferenza stampa, svoltasi presso la Questura di Palermo, la polizia confermò che quelli recuperati a Rocca Busambra erano davvero i resti di Placido Rizzotto.
Un avvenimento straordinario, che diede un significato particolare al 64° anniversario del suo assassinio. Grazie alle forze di polizia e alla caparbietà con cui la Cgil e i familiari di Rizzotto non hanno mai smesso di chiedere allo Stato verità e giustizia, finalmente il capolega corleonese ha una tomba nel cimitero di Corleone, dove ogni cittadino può portare un fiore, versare una lacrima e rinnovare il proprio impegno contro la mafia, per il lavoro e lo sviluppo nella legalità.
Sull’onda di un’emozione che ha percorso l’Italia intera, centinaia e centinaia di cittadini (noti, meno noti e sconosciuti) chiesero che a Rizzotto fossero concessi i funerali di Stato. E il consiglio dei ministri, nella seduta del 16 marzo 2012, deliberò di concederli. Furono celebrati il 24 maggio del 2012, nella Chiesa Madre di Corleone, alla presenza del capo dello Stato Giorgio Napolitano, di esponenti del governo e del Parlamento, dei vertici della Cgil e di migliaia di cittadini e di lavoratori provenienti da tutta Italia.
Questa è la storia di Placido Rizzotto, ma è anche la storia di tanti altri sindacalisti assassinati dalla mafia dai primi del ‘900 agli anni ’60. Stiamo ricordando Rizzotto, ricorderemo tutti gli altri. Li stiamo inserendo nel nostro “calendario della memoria” per consegnarli alle giovani generazioni, affinché tutti sappiano che l’Italia democratica è stata costruita anche col loro sacrificio e il loro sangue.