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Sarà la Corte di Giustizia Europea a decidere se il contributo previsto in Italia per il rilascio del permesso di soggiorno sia legittimo alla luce dei principi fissati in sede comunitaria. L'ha deciso il Tar del Lazio (qui la sentenza in Pdf), nell'ambito di un ricorso proposto dalla Cgil e dal suo patronato Inca. Il giudizio sul decreto resta sospeso in attesa della decisione della Corte di Giustizia. "Non sappiamo i tempi precisi della decisione finale a livello europeo, ma se arrivasse la conferma di questa decisione, cosa che ci auguriamo, chiederemo il rimborso per chi ha pagato più del dovuto". A dirlo è Morena Piccinini, presidente del patronato Inca Cgil, commentando durante una conferenza stampa la sentenza del Tribunale amministrativo.
In ogni caso, sottolinea, "questo è un primo risultato importante che si aggiunge alle altre sentenze favorevoli in materia di immigrazione promosse da noi. Questo non fa che confermare la fondatezza delle contestazioni, sulla base delle quali abbiamo chiesto l'intervento della giustizia per ristabilire un principio di uguaglianza e di dignità nelle politiche rivolte ai tanti stranieri che, nonostante la crisi, intendono stabilirsi nel nostro paese".
Nel ricorso al Tar, Cgil e Inca chiedevano l'annullamento del decreto ministeriale con il quale è stata adottata la nuova normativa sui contributi per il rilascio dei permessi di soggiorno, fissando oneri contributivi tra gli 80 e i 200 euro, e istituendo un "Fondo rimpatri" nel quale far confluire la metà del gettito conseguito e i contributi eventualmente disposti dall'Unione europea, stabilendo che la quota residua fosse assegnata al ministero dell'Interno per gli oneri connessi alle attività istruttorie inerenti al rilascio e al rinnovo dei permessi.
Il sindacato di Corso d'Italia e il suo patronato hanno contestato la legittimità del decreto per violazione dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza, di capacità contributiva, di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa.
La distribuzione delle risorse derivanti dalla imposizione del pagamento di maggiori oneri per coloro che richiedono il permesso di soggiorno sarebbe, secondo Cgil e Inca, del tutto irragionevole giacché il pagamento diverrebbe strumento per finanziare le attività connesse al meccanismo dell'immigrazione irregolare.
"Ciascuno Stato membro - si legge nell'ordinanza del Tar - è legittimato a subordinare il rilascio dei permessi di soggiorno alla riscossione di contributi, il cui importo non deve creare un ostacolo al conseguimento dello status di soggiornante di lungo periodo". Ancora: "Il potere discrezionale di cui dispone lo Stato membro per determinare l'importo non è illimitato e non consente, quindi, di stabilire il pagamento di contributi eccessivi".
Per i giudici, essendo, quindi, "di dominio pubblico che, in Italia, il costo per il rilascio di una carta d'identità ammonta attualmente, a circa 10 euro" e tenuto conto "che l'importo più basso fissato dal decreto per i permessi di soggiorno è di 80 euro", ne deriva che l'onere economico richiesto agli immigrati è pari a circa 8 volte il costo del rilascio della carta d'identità. Per il Tar, questo "confligge con i principi di livello comunitario e soprattutto non sembra coerente con il principio di proporzionalità".