“Siamo state le prime, nei mesi scorsi e unitariamente con Cisl e Uil, a denunciare con preoccupazione la crescita esponenziale delle dimissioni delle lavoratrici madri, fenomeno rilanciato ieri da La Stampa in riferimento al rapporto dell'Ispettorato del lavoro del 2016, secondo cui sulle 29.879 donne che si sono licenziate, 24.618 hanno addotto motivazioni legate alla difficoltà di assistere i figli e di conciliare la vita privata con il lavoro. Un dato che merita riflessioni approfondite e che rende evidente come, fra le tante problematicità storiche del nostro mercato del lavoro, quella di genere meriti particolare attenzione”. È quanto dichiarano la segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti e la responsabile Politiche di genere Loredana Taddei.

“Il nostro mercato del lavoro – continuano Scacchetti e Taddei – soffre storicamente di una bassa partecipazione delle donne, con divari territoriali enormi. E anche l'aumento dell'occupazione femminile degli ultimi mesi - sottolineano - non può non essere letto indagando la qualità di questa occupazione, speso debole e precaria, come dimostrano anche le percentuali ancora altissime di part time involontario. Ma la crescita delle dimissioni delle lavoratrici madri racconta tanto di più. Racconta – sostengono le dirigenti sindacali – il perdurare di fenomeni discriminatori e che i costi della maternità ricadono ancora prevalentemente sulle lavoratrici, specie se sole o a basso reddito. I padri che lasciano il lavoro per le motivazioni di cui sopra ci sono, ma in misura straordinariamente ridotta. Racconta – aggiungono – della difficoltà delle politiche per la conciliazione, della necessità di mettere in campo maggiore welfare pubblico, ma anche di declinare il tema della responsabilità sociale di impresa affrontando la maternità non come una questione privata o come un costo da comprimere, ma come un valore sociale”.

Per la segretaria confederale e per la responsabile Politiche di genere della Cgil, il dato sulle dimissioni volontarie “non da ultimo chiama in causa la necessità di rafforzare il monitoraggio del fenomeno da parte del ministero del Lavoro, valutando anche gli esiti degli interventi legislativi introdotti per contrastare le cosiddette dimissioni in bianco. Se il benessere di una società si vede dalla condizione delle donne – concludono Scacchetti e Taddei – non è più rinviabile un intervento politico che permetta loro di non dover scegliere tra lavoro e maternità, valori che appartengono non solo alle donne ma all'intera collettività”.