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In Italia, a ogni terremoto o calamità, si sentono le stesse giaculatorie, le stesse promesse condite con molta ipocrisia da parte di chi ha avuto e ha il potere di fare qualcosa, ma ha fatto poco e male. Dopo ogni catastrofe naturale, siamo abituati a passare in poco tempo dal pianto dettato dall’emotività al fatalismo e alla rassegnazione. Ma i tempi non sono più quelli in cui ci si può nascondere dalle responsabilità, maledicendo la natura matrigna; la natura è la natura, né buona, né cattiva, e ormai da tempo abbiamo le conoscenze per prevenire e impedire innanzitutto la perdita di vite umane, ma anche la distruzione di attività economiche e sociali nei territori colpiti. Le esperienza vissute anche di recente ci hanno mostrato per fortuna dell’altro: persone, intere popolazioni, che si rimboccano le maniche e lavorano molto, un lavoro spesso svolto nel silenzio e nell’invisibilità.
Su una particolare invisibilità ed esclusione vorrei qui soffermarmi: quella del contributo delle donne nell’ambito della comunità scientifica, con uno specifico riferimento, parlando di terremoti, a quelle impegnate nelle scienze della terra, giunte alla ribalta della cronaca durante le catastrofi naturali e troppo presto dimenticate. In un’indagine del 2015 della commissione Pari opportunità del Consiglio nazionale geologi si affermava che “la percentuale di donne appartenenti alla categoria professionale è pari solo al 21%. Di questo 21%, ben il 54% dei geologi donna ha dichiarato di aver subito discriminazioni sul posto di lavoro, mentre il 92% ha percepito delle diseguaglianze di genere”.
Per non parlare dei cantieri di costruzione, dove raramente vedrete la geologa, sebbene le donne professioniste dimostrino molto rigore e competenza. Nelle piattaforme petrolifere, geologhe o ingegnere sono tuttora pochissime. Persino negli avanzati Usa la situazione non è rosea, i dipartimenti di geologia non sono luoghi accoglienti per le donne. Sebbene la percentuale delle laureate in Scienze della terra sia cresciuta dal 29%, fino al 40% negli ultimi venti anni, il ruolo di professore viene raggiunto dalla stessa esigua minoranza di qualche decennio fa.
Questo ha dato fiato a qualche illustre professore per dire che le donne non sono portate per gli studi scientifici, per l’astrazione, essendo “per loro natura” più concrete e pratiche, confondendo l’effetto con la causa. Per secoli escluse dall’istruzione, scoraggiate ad applicarsi agli studi scientifici o tecnici, ancora oggi lo stereotipo che le donne non siano adatte ad alcune professioni è duro a morire. Tutto ciò determina, inevitabilmente, un grande spreco di talenti, di intelligenza, di capacità, commettendo un delitto che viene perpetrato da secoli ai danni delle donne, una sorta di femminicidio dell’intelligenza.
Di questi temi si è parlato giovedì 28 settembre in un convegno organizzato a Macerata dalla Fisac e dal Forum donne Cgil, a cui hanno preso parte, tra gli altri, Daniel Taddei (segretario generale Cgil Macerata), Angelica Bravi (Forum donne Cgil Macerata), Paolo Barboni (Università di Camerino), Paola Nicolini (Università di Macerata) e Giuliano Calcagni (della segreteria nazionale Fisac). Una riflessione collettiva su come le donne, con grande forza ed elasticità, hanno reagito e reagiscono nelle calamità.
C’è da dire che in occasione di ogni catastrofe naturale (sisma, frana o alluvione), tra le tante che negli ultimi anni si sono abbattute sul nostro territorio, la Cgil è stata in prima linea, impegnata nelle campagne di solidarietà in aiuto alle popolazioni colpite. Ma la solidarietà deve continuare, dando un seguito alla nostra azione. L’articolo 1 del nostro Statuto dice che siamo un sindacato che promuove l’autotutela solidale e collettiva. L’autotutela deve focalizzarsi ora sulla prevenzione, dobbiamo batterci affinché questo Paese inizi a uscire dalle emergenze.
Il fatto è che in Italia le emergenze e le ricostruzioni sono molto redditizie, molto più del rispetto dell’ambiente, dei piani regolatori, delle costruzioni antisismiche. In questo campo, si sente ancora di più la scarsa presenza delle donne, che aiuterebbe la conservazione, la tutela, la protezione del paesaggio e delle comunità. La verità è che il profitto privato se ne infischia delle vite umane. In Italia, oltretutto, interessi privati intrecciati alla corruzione e alla pochezza – quando non alla collusione – della politica, hanno finora impedito di investire in prevenzione e sicurezza, diversamente da Paesi quali il Giappone e la California.
Dopo il 24 agosto 2016 la Cgil ha preso posizione sul tema della ricostruzione e della messa in sicurezza, che potrebbe oltretutto portare lavoro nell’edilizia in crisi, senza consumo di suolo. Per questo ha avviato nel maggio scorso il Pses, Progetto di sviluppo economico e sociale per le aree terremotate e le aree interne del nostro Paese. Questo progetto deve andare avanti e scendere nel dettaglio, concretizzando proposte da portare alle amministrazioni locali, costruendo alleanze con le associazioni dei cittadini nei territori.
L’iniziativa delle sindacaliste del 28 settembre non è stata la celebrazione di una triste ricorrenza, piuttosto l’inizio di una piattaforma rivendicativa, una sorta di contrattazione sociale in sinergia tra territori colpiti da sismi recenti o passati. Per questo in occasione del convegno di Macerata il Forum donne Cgil e la Fisac provinciali hanno presentato due proposte di legge, nazionale e regionale (per le Marche), quale sostegno alle lavoratrici e ai lavoratori delle zone colpite da calamità naturali. Non possiamo impedire i cataclismi naturali, è vero, ma le calamità umane sì.