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Comunicati stampa. Lanci di agenzia. Dichiarazioni a caldo. Commenti. Interviste. Per capirci qualcosa, nello tsunami mediatico suscitato dalla Fiat attorno al tema Fabbrica Italia, bisogna attenersi al vecchio principio della stampa britannica: tenere i fatti separati dalle opinioni. Partiamo dunque dal fatto. È il pomeriggio di giovedì 13 settembre quando il Lingotto mette in rete un comunicato asetticamente intitolato “Precisazione della Fiat”.
A leggerlo con attenzione, nel testo non c’è una notizia che sia una. Nelle prime righe, facendo finta di voler rispondere ad “alcune dichiarazioni preoccupate per il futuro di Fabbrica Italia”, vengono ricordati fatti e date che sono arcinoti agli addetti ai lavori. Poi si passa all’ovvia osservazione che “il mercato dell’auto in Europa è entrato in una grave crisi”, mentre “quello italiano è crollato ai livelli degli anni settanta”. Infine si approda a una dichiarazione di intenti, un po’ minacciosa e un po’ cerchiobottista, circa il “modo responsabile” con cui la Fiat stessa intende “gestire” la propria libertà di impresa multinazionale “per non compromettere il proprio futuro”, senza peraltro “dimenticare l’importanza dell’Italia e dell’Europa”.
Apriti cielo. A tutti il comunicato, nel suo insieme, fa l’effetto di un de profundis dedicato all’ormai defunto progetto Fabbrica Italia. Inizia dunque il carosello di interventi e dichiarazioni destinato a crescere di intensità sino almeno all’inizio della settimana successiva, con l’intervista fatta a Marchionne dal direttore di Repubblica Ezio Mauro e pubblicata con ampio spazio sul quotidiano romano martedì 18 settembre. Ma torniamo al testo del comunicato. Testo in cui la Fiat Spa ha buon gioco a ricordare che già in una precedente nota del 27 ottobre 2011 aveva annunciato che “non avrebbe più utilizzato la dizione Fabbrica Italia”.
A osservare poi che, da quando tale dizione fu usata per la prima volta, in occasione dell’investor day del 21 aprile 2010, “le cose sono profondamente cambiate”. E a sottolineare, ancora, che – come già annunciato il 1° agosto di quest’anno ai sindacati firmatari degli accordi separati susseguitisi dal giugno 2010 – le “informazioni sul piano prodotti stabilimenti saranno comunicate in occasione della presentazione dei risultati del terzo trimestre 2012”.
Riassumendo: Fabbrica Italia non è mai stato un piano, ma tutt’al più una “dizione”. La crisi dell’auto in Europa è grave, in Italia gravissima. Quanto ai nostri programmi produttivi, vi faremo sapere qualcosa nel prossimo ottobre, in sede di comunicazione trimestrale. Ma sappiate che, in ogni caso, noi siamo gente responsabile. Arrivederci e grazie. Ora qui c’è una cosa che va chiarita. Chi si prenda la briga di fare una capatina sul sito ufficiale della Fiat, potrà constatare con i suoi occhi che il famoso piano dell’aprile 2010 non si intitolava affatto, come è stato fatto credere all’opinione pubblica, Fabbrica Italia, ma, meno fantasiosamente, Piano strategico 2010-2014. È solo alla quindicesima delle sue 20 pagine che si arriva a leggere che “una parte del piano a 5 anni è focalizzata in modo specifico sull’Italia. L’abbiamo denominata Fabbrica Italia per sottolineare il fatto che le radici industriali del nostro gruppo sono e rimarranno in Italia”.
Si noti: le radici, non il tronco, né tanto meno la testa. Ne segue che, come Andrea Malan ha ricordato sabato 15 sul Sole-24 Ore, non c’è mai stato un piano che prevedesse 20 miliardi di investimenti per l’auto in Italia nel quinquennio 2010-2014. E ciò sia perché il piano si riferiva anche al settore dei veicoli industriali, ma soprattutto perché si riferiva pure agli altri paesi in cui è presente la Fiat. Secondo lo steso Malan, per l’auto in Italia si parlava, all’epoca, di circa 5 miliardi di investimenti. E allora? Allora il fatto è che nell’aprile 2010 alla Fiat conveniva spararla grossa.
Usando con abilità il doppio registro comunicativo che è uno degli aspetti tipici del modo di agire di Marchionne, al mondo degli investitori, ovviamente, veniva detta la verità, mentre all’opinione pubblica è stata venduta l’immagine di una Fiat che non aspettava altro che di investire in Italia 20 miliardi di euro. E, purtroppo, c’è stato chi ha fatto finta di crederci (o anche chi ci ha veramente creduto). Resta la domanda: perché il comunicato del 13 settembre? Risposta che va per la maggiore: per preparare il terreno alle notizie non buone che saranno comunicate con la prossima trimestrale. Amen.