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Due ragazzi al primo giorno di lavoro: uno è un giovane sommozzatore, l'altro è all'inizio dell'impiego da necroforo. Non operano in un luogo qualsiasi: a Lampedusa, l'isola simbolo degli sbarchi, lo spazio dei migranti e delle tragedie dei nostri anni. Qui è ambientato Frontiera, il cortometraggio di Alessandro Di Gregorio scritto da Ezio Abbate. Il film, che ha già vinto il David di Donatello 2019 come miglior corto, è stato proiettato ieri (lunedì 13 maggio) alle ore 18 in Cgil nazionale. Al termine della proiezione il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ha dialogato con il regista Alessandro Di Gregorio, lo sceneggiatore Ezio Abbate e il produttore Simone Gattoni, nell'incontro moderato dal segretario confederale della Cgil Giuseppe Massafra.
Due lavoratori a Lampedusa, dunque. I protagonisti (interpretati da Bruno Orlando e Fiorenzo Madonna) ci vengono mostrati alle prese con la realtà dei migranti, ma non subito in modo diretto, anzi: il racconto mette in scena la loro parabola seguendoli nei gesti minimi e ripetuti, solo alla fine la storia si forma completa davanti ai nostri occhi. Un giovane su una nave indossa il completo da sommozzatore. Un ragazzo si veste da necroforo, rifiuta la protezione olfattiva perché pensa di non averne bisogno. Sarà uno shock, per lui e per noi, entrare in un container e trovarsi a vedere una fila di cadaveri, coperti e senza nome.
In Frontiera il dramma degli sbarchi compone un forte contrasto con la sostanza dell'isola. Mentre i due si apprestano a svolgere il proprio impiego, infatti, Lampedusa offre un panorama di profonda potenza cromatica: difficile immaginare che proprio in quel paesaggio arcadico i migranti vadano a morire. Ma non è un film direttamente politico, questo, perché sceglie volutamente di non fare nomi: siamo nell'Italia di Salvini, ovviamente, nella tentazione del sovranismo e dei “porti chiusi”, ma Frontiera non lo dice mai, mostra semplicemente cosa accade e per questo acquista maggiore forza.
Di Gregorio incide l'affresco nell'arco di 14 minuti, mostrando cura peculiare nella composizione dell'inquadratura e ricorrendo a trovate come il ralenti per rafforzare la costruzione drammatica. Dopo aver mostrato il dato di fatto, una verità quasi insostenibile, solo alla fine insinua un barlume di speranza: vediamo un migrante, il primo da vivo, che cammina nel paesaggio avvolto da una coperta termica e si lascia cadere nel mare siciliano. I ragazzi si tuffano e riescono a salvarlo. D'altronde anche Terraferma di Emanuele Crialese ricordava la “legge del mare”: lì era la popolazione comune ad aiutare i naufraghi, perché lo prescrive quella particolare norma, anche se la legge degli uomini talvolta lo impedisce.
I protagonisti di Frontiera evitano un tentato suicidio, quindi, ma allo stesso tempo le inquadrature sottomarine rivelano il relitto di un'imbarcazione da cui emergono corpi. Così il film riesce a rendere il senso della questione complessa, mostrando le due facce della medaglia: da una parte la tragedia che porta i migranti a morire in quelle acque, dall'altra l'incessante impegno di chi lavora per salvarli. Lavoratori non come tutti gli altri, eppure persone comuni, come dimostrano i due ragazzi, che svolgono il loro compito nel modo migliore possibile in un Paese che ne ha particolare bisogno.