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RIMINI - “Il programma Fabbrica Italia prevedeva che il gruppo Fiat nel 2014 avrebbe dovuto produrre in Italia 1,4 milioni di modelli. La realtà è che oggi il 50 per cento dei dipendenti è in cassa integrazione o con contratti di solidarietà, e le auto realizzate negli stabilimenti italiani sono 386mila”. Maurizio Landini convoca una conferenza stampa al Palacongressi di Rimini, dove è in corso il XVII congresso nazionale della Cgil, per rispondere a distanza all’amministratore delegato di Fiat-Chrysler, che ieri (6 maggio) ha presentato a Detroit il nuovo piano industriale del gruppo.
“Nessun lavoratore sarà mandato a casa”, ha detto il manager italo-canadese. Il nuovo orizzonte della casa automobilistica è il 2018, quando si punta a traguardare gli 800mila modelli realizzati nel nostro paese, metà dei quali grazie al rilancio del marchio Alfa, “del quale non possiamo che essere felici, ma è un annuncio identico a quello fatto quattro anni fa”, chiosa Landini.
Non è questione di scetticismo, “analizziamo i dati - afferma il segretario generale della Fiom -. Tra quattro anni si punta ad avere un numero di vetture prodotte in Italia che è la base da cui si partiva nel 2004. E comunque la metà di quanto si prevedeva in Fabbrica Italia. La credibilità degli annunci, sulla base dell’esperienze passate, è tutta da verificare”. Quel che chiede la Fiom “è la garanzia che questi livelli produttivi siano sufficienti a non perdere un solo posto di lavoro in tutto il settore auto, nel gruppo Fiat ma anche nella componentistica”.
Lamenta, il sindacalista, “la mancanza di chiarezza sui tempi, sulle risorse finanziarie, sui modelli - nulla è stato detto su settori innovativi come le auto ibride o elettriche - sugli stabilimenti interessati dal piano, se nel frattempo dobbiamo attenderci altri anni di cassa integrazione”.
Da qui l’appello al governo: “Di fronte a uno schema noto, il gruppo che annuncia un piano senza che questi impegni siano oggetto di un accordo, chiediamo all’esecutivo di svolgere il suo ruolo, chiediamo a Renzi di non fare come chi in passato ha fatto da spettatore silente allo smantellamento del sistema industriale e manifatturiero del nostro paese. Convochi il governo tutte le parti per definire impegni precisi, dia il via a una discussione sulle politiche industriali, niente di più di quel che fanno Obama, Hollande o la Merkel”.
Un primo passo “per dimostrare che Marchionne crede in quel che dice”, sarebbe per la Fiom “superare la fase di cassa integrazione ed estendere a tutto il gruppo il contratto di solidarietà fatto a Pomigliano. In modo che nessun lavoratore e nessuno stabilimento resti fuori davvero”.