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Quella morte scosse una tranquilla cittadina di provincia nel cuore delle Marche, il 5 luglio 2016. Emmanuel Chidi Namdi, nigeriano 36enne e richiedente asilo, aggredito e ucciso mentre stava passeggiando nel centro di Fermo con Chinyere, la sua giovane moglie, finendo in coma irreversibile solo per aver reagito a ripetuti insulti razzisti (‘african scimmia’). L’omicida, Amedeo Mancini, ha patteggiato quattro anni di reclusione e nell’ottobre scorso gli sono stati concessi gli arresti domiciliari, dopo che la vedova aveva rinunciato a ogni azione risarcitoria in cambio dell’impegno del condannato a pagare i 5 mila euro necessari per il rimpatrio della salma. A distanza di un anno la Cgil locale ha deciso di ricordare quel tragico evento, organizzando per il 5 luglio una grande manifestazione contro la xenofobia e il razzismo.
“Il perdurare e l’evolversi del fenomeno dell’immigrazione sta influenzando gli umori e il dibattito anche tra le nostre fila – affermano Maurizio Di Cosmo e Giusy Montanini, segretario generale Cdlt e segretaria Fiom Fermo –. Anche tra lavoratori e pensionati stanno prendendo piede quei luoghi comuni, quella propaganda che indica nello straniero la principale causa dei problemi che affliggono le nostre famiglie, a partire dalla mancanza di lavoro. Da tempo, e non senza fatica, abbiamo intrapreso un’iniziativa tesa a far valere la corretta informazione sull’immigrazione, le vere responsabilità politiche della crisi e delle ingiustizie sociali. È certo che a lavorare contro c’è anche la malaccoglienza, cioè l’impreparazione del Paese a realizzare un sistema efficiente per la gestione di un fenomeno epocale”.
“Alla base dei nostri ragionamenti e iniziative – continuano i due dirigenti sindacali – abbiamo riproposto i valori della solidarietà, della fratellanza, dei diritti, che devono valere per ogni persona, a prescindere dal Paese di provenienza. Abbiamo anche promosso seminari di approfondimento sui temi legati all’immigrazione, che coinvolgono tutti gli uomini e le donne della nostra Camera del lavoro territoriale. Abbiamo proseguito con un percorso formativo per tutte le Rsu di prima nomina, con filo conduttore il tema della solidarietà in tutte le sue declinazioni, anche contrattuali. Tuttora proseguiamo su questa traccia. La problematicità del fenomeno ci si è presentata in tutta la sua rilevanza un anno fa, con la morte di Emmanuel. È stato subito evidente che l’aggressione era figlia di un clima semilatente d’intolleranza diffusa. La reazione della Cgil e di tante associazioni è stata forte ed è culminata - dopo qualche giorno dall’omicidio – in una manifestazione imponente per i canoni di Fermo. Mai si era vista una partecipazione così vasta! Una partecipazione, però, molto più esterna che cittadina, a valere anche per lavoratori e pensionati. Ciò che è stato chiaro a molti, non lo è stato - probabilmente ancora non lo è - per una parte della cittadinanza di Fermo”.
“Dopo il fatto drammatico, la città ha reagito come se l’evento fosse da classificare nel regime dell’ordinario quotidiano, come se il fatto di sangue non producesse una ferita difficile da rimarginare e ne ripercorresse i tratti di un’altra avvenuta nel 2015, quando due lavoratori kosovari erano stati colpiti a morte dal loro ex datore di lavoro. Anche in quel caso, c’era stata una forte reazione da parte del sindacato, ma scarsa da parte della città. Pochi i fermani presenti alla grande fiaccolata di solidarietà e protesta. Il suicidio in carcere dell’imprenditore di qualche settimana dopo, fece scendere il silenzio pubblico sulla vicenda. Cos’è avvenuto dopo l’assassinio di Emmanuel e perché a distanza di un anno dalla sua morte il dolore non si è affievolito? Il clima che si è creato dopo questo tragico evento ha reso evidente come in questi ultimi anni le parole d’ordine di una destra razzista e xenofoba si siano radicate nelle nostre città, e quanto, di fronte al dilagare del consenso sui luoghi comuni, sia sempre più difficile far emergere la forza della verità dei fatti e dei numeri legati all’immigrazione. Dopo l’omicidio, il clima e il dibattito in città è stato caratterizzato dagli insulti verso Don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, reo di aver attirato l’attenzione mediatica su una città tanto tranquilla; dagli attacchi ‘politici’ al mondo delle associazioni che si sono mobilitate; dal silenzio delle istituzioni; dall’attivismo di una certa stampa che ha tentato di screditare la vittima; dall’atteggiamento di una parte di opinione pubblica che si girava dall’altra parte o che sosteneva le ‘buone ragioni’ dell’omicida, eroe e vittima nel contempo”, rilevano i due sindacalisti.
“Ma quel che in assoluto rimane l’aspetto più preoccupante della triste vicenda è l’indifferenza di tanti, di quelli che alzano le spalle, incapaci di esprimere pietà, infastiditi dal clamore, non di quella morte, ma della reazione indignata della parte democratica, che ha sempre messo in evidenza le cause e le conseguenze dell’evento e che ha dato vita al ‘Comitato 5 luglio’. Parliamo di quella ‘zona grigia’ descritta da Primo Levi e che Moni Ovadia recupera e aggiorna definendo così quella parte della popolazione che rimane indifferente rispetto ad atti o fatti d’intolleranza e di violenza. La nostra adesione, insieme a tante associazioni cittadine, al Comitato 5 luglio, è determinata dalla volontà di tenere alta l’attenzione sull’accaduto affinché non si abbia a ripetersi, affinché la comunità faccia i conti con i propri problemi e non li nasconda ‘sotto il tappeto’ dell’ipocrisia. Il Comitato ha proprio l’obiettivo di rimuovere l’indifferenza e i luoghi comuni, di battere l’apatia mentale e culturale di tanti e far crescere consapevolezza e solidarietà con cui affrontare l’immigrazione. Perciò, stiamo organizzando l’appuntamento più importante in coincidenza con il primo anniversario dell’omicidio di Emmanuel. Il 5 luglio, a Fermo, ci sarà una grande manifestazione per ricordarlo, per rendergli giustizia e per rilanciare i valori che contraddistinguono una comunità autenticamente democratica: partecipazione, solidarietà e giustizia”, concludono i due esponenti Cgil.