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Vera Lamonica, segretario confederale della Cgil, è intervenuta oggi a 'Italia Parla', la rubrica di RadioArticolo1, per parlare del Documento di economia e finanza messo a punto dal Governo.
"La linea di politica economica che viene riproposta con il Def è in continuità con la legge di Stabilità 2015 – ha esordito la dirigente sindacale –. Non si prevede una crescita dell'occupazione e si mantengono tagli lineari e iniquità accentuate, nel solco delle politiche Ue degli ultimi anni. Per noi, tutto questo è inaccettabile, perchè non s'interviene laddove servirebbe per reperire risorse e creare lavoro, il vero problema del Paese".
"La piaga della disoccupazione giovanile oltre il 40% sembra ormai un dato strutturale. E il blocco del turn over, causato dalla legge Fornero, pesa molto, perché gli effetti sociali di quella riforma sono stati catastrofici soprattutto per i giovani, e, parimenti, per quelle decine di migliaia di persone espulse dal lavoro, senza peraltro poter accedere alla pensione: gli esodati rimangono in un limbo di nuova povertà. Da tempo, abbiamo proposto un confronto con il Governo su questa partita, perché quella norma va cambiata al più presto", ha aggiunto Lamonica.
"Il Def conferma anche la tendenza ad accrescere le diseguaglianze fra Nord e Sud. Dall'agenda del Governo il Mezzogiorno è totalmente scomparso, mentre proprio in quelle zone si sta consumando un vero e proprio dramma sociale, misurabile in termini di povertà delle famiglie e dei bambini, di emigrazione dei giovani, di aumento dei senza lavoro. Molte delle misure finanziate con la legge di Stabilità - penso alla decontribuzione, che per la struttura produttiva nazionale ha maggiori ricadute in altre aree del Paese -, sono state finanziate in parte con risorse del Meridione, sottraendole dalla programmazione dei servizi per l'infanzia e per la non autosufficienza degli anziani, infrastrutture fondamentali in un territorio come quello", ha continuato l'esponente della Cgil.
"Per ripartire, si potrebbe anche intervenire sul divario esistente tra ricchi e poveri, proponendo, ad esempio, di tassare quel 5% di famiglie italiane finanziariamente più benestanti, con un'aliquota progressiva per la parte eccedente i 350.000 euro, ottenendo un gettito potenziale di 10 miliardi l'anno. Questi soldi si potrebbero investire in un piano straordinario del lavoro, finalizzato in particolare a giovani e donne, ottenendo, secondo i nostri calcoli oltre 740.000 nuovi posti di lavoro, pubblici e privati, in tre anni: sarebbe una risposta concreta alle condizioni drammatiche in cui versa il Paese e una ricaduta positiva sull'economia. Purtroppo, non vediamo segnali in tale direzione da parte del Governo. In questi anni, abbiamo assistito all'aumento della concentrazione delle ricchezze, soprattutto finanziarie, nelle mani di poche famiglie. E, di contro, a un generale impoverimento di quelli che una volta erano chiamati ceti medi; per non parlare del mondo del lavoro dipendente, ormai sulle soglie della povertà", ha proseguito Lamonica.
"Il tesoretto, annunciato dal Governo, sembra più uno specchietto per le allodole: Non si sa a quanto ammonti e cosa ci vuole fare Renzi. Noi pensiamo che risorse aggiutive debbano servire a combattere drammi come la povertà, condizione in cui vivono milioni di persone in Italia. Per farlo, non servono bonus, non servono spot, non servono elemosine; ciò che serve è una politica sociale strutturale, che definisca misure adeguate come il reddito minimo, presente in tutti i paesi Ue, tranne il nostro e la Grecia. Noi lo proponiamo insieme all'Alleanza contro la povertà, un insieme di 33 associazioni che lavorano da tempo sul tema, e hanno avanzato una proposta strutturata di reddito legata ai servizi, cioè una politica che realizzi l'inserimento lavorativo insieme all'attivazione di una serie di servizi nel territorio. La proposta, a regime, costerebbe poco più di 7 miliardi in quattro anni. Per far questo, però, non serve un'una tantum, ma un piano nazionale contro la povertà, programmato a lungo termine. In pratica, dovrebbe essere una sorta di livello essenziale di assistenza, per far uscire le persone dalla povertà, attivando politiche specifiche", ha rilevato ancora la segretaria confederale.
"Malgrado le smentite del Governo, nel Def ci sono nuovi tagli e nuove tasse. Intanto, c'è il taglio effettuato quest'anno sulle prestazioni sanitarie, che, tra l'altro, è ancora da realizzare, di oltre 2 miliardi e 600 milioni: non è una roba di poco conto, e purtroppo viene confermato anche per l'anno venturo. Peraltro, la diminuzione di trasferimenti agli enti locali, nonché alle regioni, è evidente che si scarica da una parte sul fatto che gli enti locali determineranno ulteriori aumenti di imposte locali, com'è avvenuto in questi anni in maniera feroce in tutto il Paese, paradossalmente soprattutto nel Mezzogiorno. Dall'altra, una riduzione secca di servizi è già in atto e rischia di aggravarsi sempre più. Quando si dice che si taglia in linea generale sui servizi, anche se lo si fa sugli appalti, in realtà si taglia lavoro, in realtà si tagliano prestazioni. Quindi, purtroppo, siamo alla riconferma della linea dei tagli, e comunque ci sono da trovare dai 10 ai 16 miliardi per evitare le clausole di salvaguardia", ha osservato inoltre Lamonica.
"Sempre rispetto al Def, si potrebbero utilizzare i fondi pensione dei lavoratori, che hanno come obiettivo la tutela del risparmio previdenziale, che significa avere garanzie degli investimenti e una redditività garantita dei risparmi investiti. Ma c'è un risparmio consistente - parliamo non solo dei fondi negoziali, ma dell'insieme dei fondi pensione - già investito sul mercato, soprattutto in titoli di stato, che può essere convogliato rispetto a un'idea di sviluppo nell'economia del Paese. La linea del Governo va esattamente in direzione contraria. Renzi è intervenuto sui fondi pensione, da una parte considerando il risparmio previdenziale come pura rendita finanziaria, quindi ha elevato l'imposizione fiscale dall'11,5 al 20% come ultimo intervento. Dall'altra parte, nel caso del disegno di legge sulla portabilità, c'è l'idea folle del fatto che i lavoratori dei fondi negoziali mettono nei fondi pensione non solo il loro Tfr, ma anche la loro quota che i contratti di lavoro conquistano come contributi a carico del datore di lavoro. Dire che si fa la portabilità di queste posizione, vuol dire drenare risparmio contrattuale dai fondi negoziali, che hanno regole e garanzie, verso le assicurazioni e le banche. È una linea totalmente diversa dalla nostra", secondo la sindacalista.
"Secondo noi, si deve ricominciare a discutere di risparmio previdenziale in termini prima di tutto di garanzia di rendimento e tutela, anche con l'obiettivo di far crescere le adesioni dei lavoratori ai fondi pensione. D'altro canto, noi abbiamo proposto la Cassa depositi e prestiti, per provare a creare uno strumento finanziario specifico, per cui sulla base di precise garanzie, queste risorse possono essere investite nelle infrastrutture del Paese, nell'innovazione industriale, per un grande piano sull'edilizia scolastica, sulla tutela idrogeologica, in investimenti negli enti locali. Però, occorre che il Governo di questo ne discuta con tutti i soggeti, a cominciare dalle parti sociali", ha concluso Lamonica.