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“È un buon risultato. Nel complesso, abbiamo ottenuto 105 euro d’aumento, di cui 90 sono minimi contrattuali, e anche sul piano normativo è un ccnl assolutamente equilibrato”. Così Emilio Miceli, segretario generale Filctem, ai microfoni di Italia parla, la rubrica di RadioArticolo1, commenta l'ipotesi di rinnovo degli elettrici, siglata il 25 gennaio. “Innanzitutto, è stata ribadita la centralità del contratto collettivo nazionale di lavoro. Chi opera nei mercati regionali, sa benissimo che uno degli elementi di regolazione del sistema è proprio il ccnl: recedere da questo, avrebbe aperto una competizione al ribasso sui costi, danneggiando le imprese del settore. In ambito salariale, siamo riusciti non solo a salvaguardare il potere d’acquisto dei lavoratori, ma anche a garantire un recupero consistente dell’inflazione, in una situazione in cui tutte le statistiche confermano che i salari italiani sono tra i più bassi dell’Unione europea, avendo perso di più nel corso della crisi. E questo è un fattore di preoccupazione dal punto di vista retributivo. Il rischio di questi anni è stato quello di un’atrofizzazione dell’economia del nostro Paese, fino ad arrivare al sintomo più evidente, la deflazione. Il problema che abbiamo di fronte ora è provare a immaginare un modello contrattuale e un sistema di relazioni industriali che veda l’inflazione non come l’elemento portante, ma in qualche modo possa essere complementare assieme ad altri strumenti di regolazione salariale. Anche su questo, la confederazione dovrà riflettere ed esprimere un suo parere”, afferma il dirigente sindacale.
“Altri punti qualificanti del nuovo contratto riguardano soprattutto il welfare, dove sono state aumentate le quote che riguardano i vari istituti. Lo abbiamo fatto in materia di previdenza complementare e sanità integrativa, perché avevamo bisogno di mantenere un asse molto preciso su tali materie. Nel senso che una progressiva marginalizzazione del sistema di previdenza pubblica e dell’assistenza sanitaria avrebbe svilito oltremodo la dignità dei lavoratori, mentre una valorizzazione di tali tematiche, sempre più centrali nella dinamica contrattuale, porta, attraverso il loro rifinanziamento, a mettere a disposizione dei lavoratori il meglio di ciò che offre il sistema pubblico. Terzo tema fondamentale nel sistema elettrico, che va affrontato assieme al governo, sono le difficoltà e sofferenze occupazionali causate dalla fortissima contrazione delle centrali elettriche, che ha provocato danni al sistema energetico nazionale: perciò, c’è bisogno di strumenti di sostegno che possano accompagnare il processo di riorganizzazione del comparto”, ha precisato il sindacalista.
“Su questo, occorre una rivisitazione della politica fin qui svolta. Di fronte al terremoto e all’emergenza neve dell’ultimo mese, gran parte del Centro-Sud ha rischiato di rimanere senza luce, mettendo in gravi difficoltà quasi mezzo milione di famiglie, e in certe zone è evidente il disimpegno progressivo dell’Enel. Si aggiunga che il nostro Paese, sul versante del fabbisogno di energia elettrica, è ordinariamente non autosufficiente. Credo sia un argomento su cui riflettere e in tale ottica abbiamo già chiesto un incontro al governo e alle commissioni parlamentari, perché vogliamo intervenire per dire la nostra, anche per rispondere alle argomentazioni dell’Enel. È arrivato il momento di ripensare complessivamente l’organizzazione dell’energia nel nostro Paese, considerando che oltre alle carenze conclamate c’è poi la questione degli altissimi costi energetici per le imprese. Ormai l’Enel si occupa di banda ultralarga, anziché di energia, mentre dovrebbe aumentare la percentuale di investimenti sulle rinnovabili in Italia, sulla falsariga di quanto fa all’estero. L’attuale politica protegge l’Enel, ma di sicuro non protegge il Paese”, ha proseguito l’esponente Cgil.
“Tornando al contratto, entro febbraio si terrà la consultazione tra i lavoratori sull’ipotesi di accordo e sulla base del voto ottenuto scioglieremo la riserva, secondo una prassi ormai consolidata. Altro nodo da affrontare riguarda gli appalti, dove esiste una frammentazione delle filiere e dei cicli produttivi, con situazioni ai limiti della legalità sotto l’aspetto gestionale, sul versante della riduzione dei costi, più che come apporto specialistico alla definizione delle opere, delle infrastrutture e di servizio. Questa è la conseguenza di una politica che, a un certo punto della storia, ha immaginato occorresse svalorizzare il lavoro e la professionalità delle imprese, non solo quella dei lavoratori, e per tale via potesse aumentare il tasso di competitività. La verità è che oggi non siamo più competitivi, la dottrina è risultata sbagliata e l’Italia si muove sempre nell’ambito dello zero virgola”, ha concluso Miceli.