La Cgil Veneto dice no al vincolo dei 15 anni di residenza imposto dalla Regione per poter iscrivere i propri figli all’asilo nido o alla scuola materna. Questo vincolo, si legge in una nota, "introduce una discriminazione odiosa e di dubbia costituzionalità non solo ai danni dei bimbi figli di migranti che qui in Veneto vivono, lavorano e pagano pure le tasse, ma anche nei confronti di cittadini di altre regioni che per vari motivi si siano trasferiti qui in Veneto".
Anziché investire risorse per sostenere e implementare la rete dei servizi per l’infanzia, si è scelto –ancora una volta – "di intervenire con un provvedimento ideologico nella consueta e ormai logora formuletta del “prima i veneti”. Con buona pace dell’ormai quotidiano pianto greco sul problema – vero – della denatalità, figlio – in larga misura – della precarietà ormai quasi strutturale del lavoro, del permanere di pesanti discriminazioni nei confronti delle donne che scelgono di diventare madri e che oltre a dover fare i conti con l’enorme carenza di servizi, rischiano sempre più spesso di dover rinunciare al lavoro per farsi carico del lavoro di cura familiare sia quello rivolto ai bambini sia quello rivolto agli anziani".
Proprio per effetto della denatalità, peraltro, fa notare il sindacato, da tempo non risultano esserci liste d’attesa particolarmente lunghe nei nidi, avendo la Regione Veneto investito assai più nell’incentivare i nidi-famiglia piuttosto che i nidi pubblici tradizionali (magari in sinergia con le aziende pubbliche e private che insistono nel territorio). Ogni comune poi ha un proprio regolamento di accesso ai servizi che già garantisce un punteggio leggermente maggiore a coloro che risiedono da più tempo (tre o cinque anni) in quel determinato comune.
"Ma la tagliola dei 15 anni non c’entra niente con tutto questo – spiega il comunicato –, c’entra con l’ideologia più becera, fatta di vincoli e di ostacoli pressoché insormontabili nei confronti dei tantissimi migranti che non solo non delinquono, come tutti ben sanno, ma concorrono alla crescita economica e sociale della comunità nella quale vivono e lavorano e che, con le loro tasse, contribuiscono a pagare le pensioni anche di quelli che fanno barricate e blocchi stradali per una decina di donne e bambini in fuga dalla guerra. Lo stesso vergognoso film che abbiamo visto ad esempio anche sul tema dell’accesso alla casa, anche qui con vincoli rigidissimi, salvo poi – nel privato – affittare in nero posti letto per 10-15 persone in mini appartamenti".
"Verificheremo tutte le possibili strade per contrastare un provvedimento che discrimina cittadini e lavoratori italiani e immigrati, e che alimenta le contrapposizioni sociali per distogliere l’attenzione dalla ormai conclamata incapacità della Regione di programmare politiche di investimento su servizi pubblici essenziali, per espandere e garantire a tutti il diritto alle strutture educative, ai servizi socio assistenziali, alla casa”, conclude la nota.