In occasione della giornata internazionale della donna, la Cgil Lombardia e la Camera del lavoro metropolitana di Milano, in collaborazione con l’Osservatorio sociale mafie e l’associazione Secondo Maggio, organizzano un incontro che sarà preceduto dallo spettacolo teatrale “Donne ribelli” - con Elisabetta Vergani, Federico Bragetti al violoncello e Silvano Piccardi regista in scena - tratto dal libro di Nando Dalla Chiesa “Le ribelli, storie di donne che hanno sfidato la mafia per amore”. L’iniziativa, prevista per lunedì 11 marzo alle 20.30 presso la Cdl, in corso di Porta Vittoria 43, vedrà la partecipazione di Umberto Ambrosoli, Alessandra Coppola (giornalista del Corriere della Sera), Nando Dalla Chiesa ed Elisabetta Tripodi (sindaco di Rosarno, in Calabria).

Si tratta di tre storie che testimoniano l’impegno difficile, coerente, coraggioso di tre donne che si sono trovate a dover compiere, nella lotta contro le mafie, il proprio percorso di ribellione e di liberazione spinte oltre che da una forte sete di giustizia, dai propri sentimenti e dal proprio dolore.

La prima è Felicia Impastato, mamma di Peppino, scomparsa il 7 dicembre del 2004: la prima donna che, entrata a far parte con il matrimonio di una famiglia mafiosa, in seguito alla tragica perdita del figlio (ucciso da Cosa Nostra il 9 maggio 1978), ha deciso di ribellarsi ai dettami della cultura dell'omertà e del silenzio, cercando con tenacia e caparbietà la verità sulla morte di suo figlio. La condanna del mandante dell'omicidio, Gaetano Badalamenti, boss di Cinisi e bersaglio delle continue denunce e dell'impegno politico di Peppino, è arrivata solo nel 2002, 24 anni dopo l'assassinio.
 
C’è poi la storia di Saveria Antiochia, madre di Roberto, coraggioso agente di scorta ucciso dalla mafia nel 1985, nell'attentato in cui perse la vita anche il vice questore Ninni Cassarà. Roberto tentò di fare scudo con il suo corpo a Ninni.  Morì colpito alla testa, accanto all'auto. Aveva ventitré anni. Nella lettera che scrisse al ministro dell’Interno di allora si legge: "Signor ministro, lasciamo da parte la retorica del sacrificio fatto per servire lo Stato. Mio figlio è morto per la squadra mobile di Palermo, è morto nel disperato tentativo di dare al suo superiore e amico Cassarà un po' di quella protezione che altri avrebbero dovuto dargli". Saveria Antiochia non si fermò più. Da quel giorno lavorò incessantemente per sostenere le forze dell'ordine e il difficile lavoro dell'antimafia.

La terza donna è Michela Buscemi, palermitana, due fratelli e un cognato ammazzati. Il primo, Salvatore, ucciso per lo sgarbo di vendere sigarette di contrabbando "senza permesso"; il secondo, Rodolfo, strangolato e poi gettato in mare insieme al cognato, per avere cominciato a indagare sui responsabili della morte del fratello. Michela decise di costituirsi parte civile nel maxi-processo. Delegittimata e isolata, proseguì la sua battaglia ,nonostante le minacce, e andò avanti con l'aiuto del Centro Impastato di Palermo e dell'associazione donne siciliane per la lotta alla mafia. Al processo d'appello si ripresentò a fare nomi e cognomi. Dopo le minacce ai figli, però, non riuscì ad andare oltre. Alla fine, si ritirò da parte civile, ma lo fece entrando in aula e dichiarando apertamente, con grande coraggio, il motivo del suo ritiro.

È riconoscendo il valore di tali figure che l’iniziativa intende riaffermare un forte impegno contro la criminalità organizzata, che ha affondato ben salde le sue radici nel tessuto produttivo e sociale anche di una Regione come la nostra. Per dire che nell’azione del sindacato e dell’associazionismo democratico il coraggio di queste donne troverà ancora espressione e forza, nel contrastare ogni forma di illegalità e di violenza criminale.