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C'è futuro per l'Europa? A questa domanda ha risposto stamattina, ai microfoni di RadioArticolo1, Fausto Durante, coordinatore dell'area politiche europee e internazionali della Cgil.
"Si continua a balbettare – ha esordito il dirigente sindacale – e a rinviare il tempo delle decisioni. Il vertice europeo dei giorni scorsi, in cui il tema della Brexit è stato dominante, ma anche l'ultimo summit sull'immigrazione, hanno fatto segnare l'ennesimo documento, l'ennesima dichiarazione, a cui, peraltro, poi non seguono mai atti concreti. La Ces ha fatto proposte assai precise, a Junker chiediamo di affrontarle subito e di mettere attorno a un tavolo i Paesi che devono gestire l'emergenza dal punto di vista umanitario e sanitario, quelli del sud d'Europa, che sono oggetto del flusso di arrivi, e il resto dei Paesi europei, presso i quali è necessario attivare politiche di accoglienza e integrazione. Non è più possibile pensare di scaricarsi la coscienza con l'accordo - vergognoso - che l'Ue ha fatto con la Turchia, e con lo scaricabarile dei governi del centro e del nord Europa che lasciano solo al Paesi del sud il tema dell'accoglienza".
"A proposito delle elezioni in Italia e Spagna e del referendum in Gran Bretagna – ha continuato il sindacalista –, mi pare evidente che da alcuni anni, ad ogni tornata elettorale, si registri un aggravamento del cortocircuito che si è determinato tra i palazzi della politica a livello europeo e dei singoli Stati nazionali e il senso comune della cittadinanza. C'è un insieme di promesse tradite, di speranze mal riposte, di risposta delle élite delle classi dirigenti alle sfide poste dai problemi della competizione internazionale e della globalizzazione dell'economia di sicuro non all'altezza; in più, c'è un oggettivo aggravarsi della crisi della democrazia, dei meccanismi parlamentari, dei sistemi elettorali, che oggettivamente insieme ai fenomeni di ritorno ai personalismi, al culto del leader e alla separazione tra politica e cittadini, non fa che aumentare tale distanza. Lo vediamo dal sempre più basso tasso di partecipazione alle competizioni elettorali, alla generale lontananza del processo decisionale rispetto alle esigenze concrete delle persone: è un dato su cui occorrerà riflettere per trovare meccanismi che possano mettere in salvo il processo di partecipazione democratica, oggi fortemente minato".
"Per quanto riguarda l'immigrazione – ha proseguito l'esponente Cgil –, siamo in una fase di forte regressione, quando in Gran Bretagna, Paese che ha fatto parte dell'Ue da oltre quarant'anni, si pensa ancora al noi e loro. Il noi è riferito ai cittadini britannici, il loro è riferito non al migrante che scappa dall'Africa verso l'Europa in cerca di un futuro, ma ai cittadini di Francia, Belgio, Italia, Polonia, Grecia, che magari trovano un'occasione di lavoro proprio a Londra. Siamo davvero all'anno zero, dal lato della concezione e dell'idea di cittadinanza europea. Del resto, la Gran Bretagna ha avuto molto dall'Unione, pur essendo quello tra i 28 Stati Ue che sempre meno ha creduto nel processo d'integrazione e costruzione. Quindi, non c'è da meravigliarsi per il fatto che nel 2016 siamo in una situazione in cui ai cittadini della stessa Unione gli inglesi pensano di poter negare il diritto alla mobilità, al lavoro, alla protezione sociale. È un paradosso, che stiamo pagando molto caro".
"Trent'anni di neoliberismo – ha osservato ancora Durante –, a cui, con la crisi, si sono aggiunti anni di politiche economiche di austerità, di rigore, di ossessione alla disciplina di bilancio, di spending review, di peggioramento delle condizioni di lavoro, di tagli alle pensioni, all'istruzione, alla sanità, allo stato sociale in generale, ecco tutto ciò ha sancìto il definitivo divorzio tra un'idea di Europa come processo permanente e tensione ideale verso il miglioramento delle condizioni di tutti e il sentire comune dei cittadini che si sono visti traditi rispetto alle loro aspirazioni. Per tale ragione. oggi è in crisi l'idea dell'Europa e per questa stessa ragione, se si vuol provare a salvare il messaggio dell'Unione, bisogna cambiare non solo le politiche economiche, ma soprattutto i trattati dal fiscal compact al six pack, a tutta quella gabbia burocratica e istituzionalizzante che ha reso inevitabili le tensioni economiche e sociali fra i Paesi, acuìto le diseguaglianze e impedito di uscire positivamente dalla crisi, allontanando i cittadini dall'Ue".
"Un'Europa così com'è non ha futuro – ha sottolineato il responsabile Cgil delle politiche Ue e internazionali –, e se non si cambia al più presto, passando dall'austerity a una politica di sviluppo, prima o poi diventerà largamente maggioritaria anche presso i lavoratori la convinzione che l'Ue è irriformabile ed è meglio abbandonare il progetto. Noi continuiamo a pensare che non sia così, e anche per questo abbiamo deciso di organizzare per l'11 giugno, a Londra, un vertice straordinario dei leader sindacali europei. Vogliamo lanciare il segnale che il mondo del lavoro crede ancora che si possa rilanciare l'idea dell'Europa e con essa un modello sociale che serve a far stare meglio i cittadini in tutti i Paesi, a diminuire le diseguaglianze, le divergenze europee, e a riprendere con coraggio e convinzione il processo d'integrazione".
"L'Europa rinasce sul lavoro oppure non rinasce – ha concluso Durante –. L'Ue ha dimenticato il contributo fondamentale che il lavoro, l'attività produttiva, la manifattura, l'industria, le competenze e i saperi che i suoi cittadini e i lavoratori hanno dato al processo di costruzione e d'integrazione nel disegno dei 28 Paesi. L'Unione deve ripartire da lì, da quello che un tempo è stato la chiave del suo successo, variamente coniugata secondo le dinamiche, le tradizioni nazionali, come la codeterminazione in Germania, la contrattazione collettiva nell'Europa del centro-sud, la partecipazione diretta dei lavoratori ai processi decisionali delle imprese, secondo il modello scandinavo del nord d'Europa. Tutto questo è stato fondamentale per il successo dell'Ue; da lì bisogna ricominciare, non solo dalla finanza, dalla moneta e dai mercati, e soprattutto occorre recuperare il coraggio di guardare avanti, pensando non al consenso elettorale immediato, ma a ciò che è davvero nell'interesse dei cittadini per il futuro e la prospettiva comune di tutta l'Unione".