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In Italia è diffusa la pratica dello sfruttamento del lavoro dei lavoratori migranti, in particolare quelli provenienti da paesi dell'Africa subsahariana, dell'Africa del Nord e dell'Asia, impiegati in lavori poco qualificati, spesso stagionali o temporanei, per lo più nel settore agricolo delle province di Latina e Caserta. La denuncia, molto circostanziata, è contenuta nel rapporto sullo sfruttamento dei lavoratori migranti nel settore agricolo italiano (Exploited labour: Migrant workers in Italy's agricultural sector) pubblicato oggi da Amnesty International. Anche se il rapporto denuncia gravi forme di sfruttamento anche nell'edilizia, specie nell'Italia meridionale.
I lavoratori migranti impiegati in queste attività ricevono paghe inferiori di circa il 40%, a parità di lavoro, rispetto al salario italiano minimo concordato tra le parti sociali e lavorano un maggior numero di ore. Le vittime dello sfruttamento del lavoro sono migranti africani e asiatici e, in alcuni casi, cittadini dell`Unione europea (soprattutto bulgari e rumeni) e cittadini di paesi dell`Europa orientale che non fanno parte dell`Unione europea (tra cui gli albanesi).
"Nell'ultimo decennio le autorità italiane hanno alimentato l'ansia dell'opinione pubblica sostenendo che la sicurezza del paese è minacciata da un'incontrollabile immigrazione `clandestina`, giustificando in questo modo l'adozione di rigide misure che hanno posto i lavoratori migranti in una situazione legale precaria, rendendoli facili prede dello sfruttamento”, spiega Francesca Pizzutelli, ricercatrice del segretariato internazionale di Amnesty International e autrice del rapporto.
“L'esito di tutto questo per i lavoratori migranti – spiega ancora Pizzutelli - consiste spesso in paghe ben al di sotto del salario concordato tra le parti sociali, riduzioni arbitrarie dei compensi, ritardato o mancato pagamento, lunghi orari di lavoro. Si tratta di un problema diffuso e sistematico”.
Un altro fattore che incrementa il rischio di sfruttamento dei lavoratori migranti è il fatto che le quote di ingresso previste sono sempre insufficienti rispetto al reale bisogno di manodopera. Infatti, i datori di lavoro preferiscono assumere lavoratori già presenti in Italia a prescindere dalle quote d'ingresso fissate dal governo. Alcuni lavoratori possono avere il permesso già scaduto mentre altri possono aver ottenuto il visto d'ingresso attraverso intermediari, ma non riescono poi a ottenere il permesso di soggiorno. In questo modo, molti lavoratori migranti finiscono per trovarsi senza documenti che ne attestino la presenza regolare in Italia e rischiano l`espulsione.
Il reato di 'ingresso e soggiorno illegale', introdotto dal Governo Berlusconi, è un altro elemento di criticità secondo Amnesty. Questo reato stigmatizza infatti i lavoratori migranti irregolari, alimenta la xenofobia e la discriminazione nei loro confronti. E soprattutto pone i lavoratori migranti nella condizione di non poter chiedere giustizia per salari inferiori a quanto concordato, per il mancato pagamento o per essere sottoposti a lunghi orari di lavoro. La prospettiva, per molti di loro, è che se denunciano lo sfruttamento vengono arrestati ed espulsi a causa del loro status irregolare. Si stima che in Italia vi sia circa mezzo milione di lavoratori migranti privi di documenti validi, ossia migranti 'irregolari'.
“Le autorità italiane – conclude Pizzutelli – dovrebbero modificare le politiche in materia d'immigrazione concentrandosi prima e soprattutto sui diritti dei lavoratori migranti, indipendentemente dal loro status migratorio, garantendo loro un efficace accesso alla giustizia, istituendo meccanismi sicuri e accessibili per i lavoratori migranti che intendono presentare esposti e denunce contro i datori di lavoro, senza timore di essere arrestati ed espulsi”.