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Luis Sepúlveda non ce l’ha fatta. È morto nell’ospedale di Oviedo, in Spagna, dove era ricoverato dalla fine di febbraio. L’ha ucciso il Coronavirus. Aveva 70 anni. Spesso, nei giorni e nelle settimane alle spalle, tra i lettori che lo amavano, nella comunità letteraria, nei social network, in semplici conversazioni tra amici è comparsa la domanda: “Come sta Sepúlveda? Ce la farà?”. Notizie di un suo miglioramento non ne arrivavano. Ma non si smetteva di pensare a lui. In Italia era amatissimo. Quest'anno era atteso, a inizio marzo, a Roma per inaugurare l'undicesima edizione di Libri Come, prima che la pandemia spazzasse via tutto.
Sepúlveda restava nei pensieri e nella preoccupazione di molti. Perché non solo le sue parole scritte, i suoi libri dal successo internazionale, ma l’intera sua vita, con la militanza politica, con l’impegno per l’ambiente e nelle più importanti cause per i diritti umani e civili, avevano fatto di lui il contrario di un estraneo, avevano fatto di lui un compagno. Sepúlveda restava nei pensieri di molti per questa semplice ma rara ragione: perché era un compagno, ossia una persona che avverti prossima anche se non la conosci, che ti è vicina anche se è distante, perché sai di condividere con lei i princìpi, i valori, il sentimento della giustizia tra gli uomini.
Era nato a Ovalle, in Cile, nel 1949. Figlio di un militante del partito comunista cileno e di un’infermiera mapuche. Ottenne il successo internazionale con Il vecchio che leggeva romanzi d’amore (1989), pubblicato in Italia da Guanda nel 1993, un romanzo tradotto in 35 lingue e dedicato a Chico Mendes, nel quale Sepúlveda rielabora la sua esperienza tra i nativi dell’Amazzonia. Ma prima di allora la sua stessa vita era stata un romanzo. Militante politico, regista teatrale, giornalista, ambientalista. Molte vite. Come per altri scrittori sudamericani della sua generazione, come per i Bolaño e i Galeano. La generazione che fu costretta ad affrontare e combattere la dittatura, e possibilmente a sopravviverle. I ragazzi e le ragazze (splendidi, indimenticabili) che ebbero come nemici Videla e Pinochet.
Già a vent’anni scriveva e pubblicava racconti. Studiò drammaturgia tra il Cile e Mosca, ma il soggiorno in Unione Sovietica, dove era arrivato grazie a una borsa di studio di 5 anni, si interruppe dopo pochi mesi probabilmente a causa di motivi (e dissidenza) politici. Tornò in Cile e lasciò il partito comunista per avvicinarsi ai socialisti di Salvador Allende. Entrò nella guardia personale del presidente Allende e fino all’ultimo difese il governo democraticamente eletto del Cile, ossia fino a quell’11 settembre del 1973, giorno in cui i militari di Augusto Pinochet presero il potere con un colpo di Stato. Dopo oltre due anni di arresti, torture e prigionia, Sepúlveda fu liberato grazie a una campagna di Amnesty International e iniziò il suo percorso di esule tra Uruguay, Brasile, Paraguay ed Ecuador, dove avrebbe vissuto con la comunità indigena Shuar entro un progetto in collaborazione con l’Unesco. Nel 1979 si unì alle brigate internazionali che sostenevano i sandinisti in Nicaragua. In seguito si trasferì in Germania, dove riprese l’attività di giornalista e ambientalista, arrivando a collaborare con Greenpeace e a pubblicare importanti reportage di viaggio dai quali sarebbero nati libri come Il mondo alla fine del mondo e Ultime notizie dal Sud.
(Il cordoglio della Cgil)
Nel 1989 rientrò in Cile e iniziò a dedicarsi a tempo pieno alla carriera di scrittore. Fu ricchissima, ovviamente, anche la vena di narrazione politica e di rievocazione delle peripezie latinoamericane, personali e collettive, cui Sepúlveda diede voce in titoli, tra gli altri, come Cronache dal Cono Sud, La lampada di Aladino, L’ombra di quel che eravamo e La frontiera scomparsa. Nella seconda metà degli anni Novanta si trasferì in Spagna, nelle Asturie, cambiamento che coincise con una nuova tappa del suo percorso letterario, dedicata all’invenzione di favole i cui protagonisti sono animali ai quali l’autore affida messaggi universali per l’umanità. Titoli come il celebre Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, e poi: Storia di un topo e del gatto che diventò suo amico, Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza, Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà, per arrivare all'ultimo Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa (del 2018). Restano da ricordare Diario di un killer sentimentale, Patagonia express, Ritratto di gruppo con assenza, e decine di premi e riconoscimenti, tra i quali il Chiara e il Grinzane in Italia, paese che visitava spesso e nel quale ha venduto quasi nove milioni di copie, come ricorda in una nota di commiato il suo editore Guanda.
Proprio in Italia, in queste ore, sono stati in molti a ricordare e piangere Luis Sepúlveda. Ma le parole più significative ci sembra di incontrarle nella testimonianza della sua traduttrice Ilide Carmignani, raccolta dall’agenzia Agi. Ossia della persona che per quasi trent’anni ha dato una voce italiana alla lingua dell’autore cileno, e che lui definiva “la mia compagna di strada”. Sepúlveda, osserva Carmignani (una delle più importanti traduttrici dallo spagnolo all’italiano) è stato “un grande scrittore, un grande maestro di vita, che nei tempi difficili che stiamo attraversando, se non fosse stato ammalato, avrebbe saputo trovare le parole giuste per trovare una strada, per dare una direzione”. “Tutta la sua opera - prosegue la traduttrice - indica una serie di valori come la solidarietà, il rispetto per la natura, il rispetto per il diverso. (...) In libri come Il vecchio che leggeva romanzi d'amore, Sepúlveda ci racconta come la scelta occidentale, il capitalismo, abbia in qualche modo distrutto l'equilibrio con la natura e come invece si possono trovare modi diversi di vivere armoniosamente con lei. Nella Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, troviamo come l'inquinamento dei mari scateni tragedie”. Volendo riassumere la cifra poetica di Sepúlveda, ha spiegato Carmignani all'Agi, si potrebbe ricorrere al “motto che lui a volte usava: ‘Dare voce a chi non ha voce’. E dare voce a chi non ha voce vuol dire portare tutti in condizione di essere ascoltati. Nella condizione in cui siamo oggi questi valori sono stati calpestati”.
Sepúlveda lascia i suoi figli e la sua compagna, la poetessa Carmen Yáñez, sposata due volte in una struggente e appassionante relazione, anche lei colpita dal Covid-19 ma per fortuna guarita. E lascia i suoi libri e i suoi lettori, presenti e futuri. Sta a noi, e a chi verrà dopo di noi, decidere come ricordarlo: non lo scrittore sconfitto dal Coronavirus, ma lo scrittore che Pinochet non mise a tacere.