da Rassegna sindacale In questa fase l’industria sta vivendo profondi rivolgimenti sia nel modo di produrre che nei prodotti. Per questo è importante dedicare al tema una sessione nell’ambito delle Giornate del lavoro 2019. Così il segretario confederale Cgil, Emilio Miceli, ha aperto i lavori della giornata dedicata alle “Nuove politiche industriali, sostenibilità e nuovi strumenti a sostegno di uno sviluppo di qualità” promossa dalla Cgil insieme a Filctem, Fiom, Fisac e Slc e che, appunto, apre la Bologna presso la sede Arci di San Lazzaro le Giornate del lavoro della Cgil 2019. L’industria, ha detto il sindacalista, “è l'elemento trainante della nuova competizione globale, siamo secondi in Europa, dopo la Germania e settimi nel mondo. E questo nonostante la limitatezza demografica del nostro paese nello scenario globale. Nonostante una struttura dimensionale prevalentemente piccola e media della nostra impresa, questa comunque si è connotata in Italia come un veicolo indubbio di innovazione”. Ma il termine “innovazione” non è neutro, bisogna vedere chi la guida questa innovazione: “Fa differenza se a condurre questi processi siano istituzioni democratiche o ‘democrature’ quando non dittature”. In questo senso per Miceli “l’Europa con tutti i suoi difetti resta il sistema più giusto ed equilibrato, nel quale possiamo tentare di dare una curvatura di partecipazione democratica ai temi dell'innovazione, altrimenti e naturalmente orientati al decisionismo dei pochi”. Anche per questo, “aver respinto l'attacco sovranista dei paesi a bassa intensità di democrazia è stato un bene per i lavoratori di tutta Europa”. Naturalmente, questa Europa “ingessata” deve cambiare, “e se non cambia non ha futuro, perché oggi viene percepita innanzitutto come polo regolatorio e non come motore di crescita: tutto sembra girare attorno alla regolazione del debito, del deficit, della concorrenza, dei singoli mercati e delle imprese e potrei continuare. Insomma, l'Europa non viene percepita da milioni di persone come lo spazio dello sviluppo e del benessere. Questo è il vero punto di crisi e di disaffezione e per questo dobbiamo cambiarla: per salvare una prospettiva insieme democratica, sociale ed economica”. Per il sindacalista è chiaro che oggi “le imprese europee si confrontano con le loro sole forze con giganti finanziati da fondi sovrani statali e i suoi lavoratori sono soggetti a fenomeni di dumping che producono disoccupazione a causa di una corsa al ribasso che si scarica essenzialmente su di loro. E allora una nuova consapevolezza sui diritti del lavoro è necessaria, perché nessuna democrazia regge a lungo se l'economia ristagna e la povertà aumenta. Il tema del superamento della precarietà che finisce con il diventare alla lunga inessenzialità del lavoro e scarsa fidelizzazione, ha bisogno di trovare uno spazio certo e non negoziabile nell'attività di impresa”. Spesso, invece, “le nostre imprese pretendono lavoratori giovani, con conoscenza di lingue, studi post-universitari solidi, ma con contratti precari, magari autonomi, a tempo determinato, meglio se interinali, e quasi esclusivamente a part time come ci dicono tutti gli istituti statistici”. Restringendo il campo all’Italia, per il segretario confederale della Cgil, uno dei temi chiave è quello della redistribuzione del reddito, e qui entra in gioco il tema annoso Nord-Sud: “Perché il Nord è largamente forte e competitivo, sta alla pari con i grandi, mentre è a Sud che l'Italia si allontana dal resto dell'Europa e dalla competizione globale. E lasciatemi dire che se il contributo ad aprire una nuova fase è l'autonomia differenziata, significa che stiamo facendo l'esatto contrario di quello di cui c'è bisogno”, cioè “un impegno straordinario per il Mezzogiorno. Interventi per la realizzazione di infrastrutture materiali e immateriali, reti fisiche e virtuali necessarie per fare il balzo in avanti, un sistema pubblico non burocratico, uno stato sociale degno di questo nome, una valorizzazione delle risorse intellettuali e dei giovani”. Tutto il contrario di un'area “tollerata e assistita, certo con punte di eccellenza, ma sostanzialmente utile solo per trascorrerci le vacanze”. In generale, per Miceli “il sistema industriale italiano è debole nell'innovazione, nella produzione di tecnologie abilitanti, cioè quella parte alta della catena del valore che rende più solido il processo produttivo e permette di produrre accelerazioni dello sviluppo tecnologico, di processo e di prodotto. Disponiamo, è vero, di un buon posizionamento nella microelettronica, ma se guardiamo all'insieme del sistema delle telecomunicazioni e all'informatica, settori dove avevamo una qualificata presenza anche nel contesto globale, ormai rincorriamo gli altri comprando tecnologie senza avere più quella rete tecnico-scientifica maturata nelle aziende e nelle università che ha funzionato per lungo periodo”. E questo colpo inferto al paese “ha origine lontana e ha i nomi di Olivetti, Italtel, Telecom: storie diverse ma che senza dubbio rappresentano il fallimento più clamoroso dell'impresa e della politica di questo paese”. A dispetto di questo passato, “oggi siamo oggetto della politica di acquisizione dei tanti fondi e come noto i fondi hanno obiettivi legittimamente finanziari, non industriali, lo verifichiamo quotidianamente nelle trattative sulle crisi aziendali al Mise. È un dato preoccupante perché questi settori sorreggono lo sviluppo del paese, incentivano la ricerca soprattutto di impresa, quella più focalizzata ai risultati, alle soluzioni più immediatamente spendibili sul piano della sperimentazione”. Ecco, “io credo che su tutti questi punti bisogna interrogarsi, se siamo un paese che intende restare tra i primi sette del mondo e il secondo in Europa. Se è così, non possiamo adattarci ad un ruolo di secondo piano di fronte alle grandi direttrici della politica industriale globale”. È vero che siamo siamo anche per fortuna il paese del talento e della creatività, della moda – cuoio, vetro, ceramica, pelli –, ma “se vogliamo difendere e promuovere il made in Italy, sarà bene che questo sia non solo il frutto della creatività, ma anche della indispensabile capacità produttiva”. » Galleria fotografica
Nuove politiche industriali, sostenibilità e nuovi strumenti a sostegno di uno sviluppo di qualità
Iniziativa a Bologna nel quadro delle Giornate del lavoro 2019. L’introduzione di Emilio Miceli, segretario confederale della Cgil
16 settembre 2019 • 11:38