Siamo arrivati a Brescia pensando a un passato doloroso. Ce ne torniamo, due giorni dopo, con l’immagine nitida di un presente ben definito – una città in cui la ferita di piazza della Loggia è ancora incisa nelle vene – e di un futuro prossimo che dà speranza: i tantissimi giovani in piazza, le scuole, addirittura una primaria in cui negli anni insegnanti, bambini e bambine hanno allestito un museo per ricordare la strage e che ha scelto di intitolarsi “Scuola 28 maggio”.
La data dell’orribile strage neofascista che 50 anni fa si è portata via Giulietta Banzi, Alberto Trebeschi, Clementina Calzari, Luigi Pinto, Euplo Natali, Bartolomeo Talenti, Vittorio Zambarda, Livia Bottardi.
Nessuna retorica
Va detto subito. Si ha sempre il timore che in queste commemorazioni un po’ di polvere si posi sul dolore: il rischio di una piega retorica che, anche se umanamente comprensibile, allontana il sentimento della tragedia è sempre in agguato. A Brescia questo non accade. La città la senti veramente segnata da quell’evento, probabilmente grazie alla sua dimensione ridotta. Una persona in piazza ci dice che quella bomba è come se fosse esplosa nell’androne del suo palazzo. La cassiera di un supermercato nel quale entriamo per comprare una bottiglia d’acqua – fa molto caldo: 50 anni fa invece pioveva – ci chiede come sta andando e che le dispiace non esserci, ma deve lavorare.
Grande merito va però anche dato al lavoro che è stato fatto per tramandare viva quella memoria, prima di tutti da Manlio Milani – presidente dell’associazione delle vittime e fondatore di Casa Memoria – ritratto in una delle immagini più famose e terribili di quella giornata, chino sul corpo dilaniato della moglie, lo sguardo perso, il braccio levato nella richiesta di un aiuto che si rivelerà inutile. Giovani e meno giovani, insomma, si danno la mano.
La tensione civile
Una città, come ci racconta il segretario della camera del lavoro di Brescia, Francesco Bertoli, in cui “a 50 anni di distanza la tensione civile rimane alta, c’è grande attenzione democratica, frutto anche del grande lavoro che si fa nelle scuole”. Ma non solo: “Il movimento dei lavoratori e l’integrazione dei migranti hanno contribuito a tenere vivo il tessuto della città”.
Cose vive, insomma, in cui persino la presenza superistituzionale del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con i corazzieri sull’attenti, il tratto della piazza transennato per motivi di sicurezza, sono parsi inseriti in maniera del tutto naturale nel sentimento di una manifestazione umanissima, ferma nei suoi valori ma senza odio, con i rintocchi della campana e la ninna nanna araba cantata sul palco da una studentessa. Una studentessa che viene da Salò: scelta questa dall’alto contenuto simbolico. Un tratto distintivo che Manlio Milani ci ricorda: “Noi – scandisce – non volevamo e non vogliamo essere come loro”.
Colpire la scuola
La manifestazione di piazza della Loggia come è noto fu la risposta all'ennesimo atto di violenza di quella stagione. La notte del 19 maggio un giovane militante di Ordine Nuovo, Silvio Ferrari, saltò in aria mentre con la sua Vespa trasportava un ordigno esplosivo. Fu così che i sindacati proclamarono lo sciopero generale e si organizzò la mobilitazione.
Fu insomma una manifestazione sindacale e, altra particolarità rispetto a quella stagione, cinque degli otto morti erano insegnanti. Per i fascisti non poteva “andare meglio”: colpire la scuola, le sue lotte (quelle persone avevano partecipato alla nascita della Cgil scuola) significava colpire il pensiero critico e libero, quello che ogni fascismo teme.
Ed è proprio in loro omaggio che la Flc Cgil ha organizzato il giorno prima delle celebrazioni ufficiali del cinquantenario – che per la verità in città durano parecchi giorni e con un programma ricchissimo – la sua assemblea generale, ovviamente in una scuola, l’istituto Benedetto Castelli. Un appuntamento di riflessione che ha visto tra gli altri la partecipazione di Benedetta Tobagi, Tomaso Montanari, Rosy Bindi.
Come sottolinea la segretaria generale della Flc Cgil, Gianna Fracassi, “cinque di quelle vittime erano insegnanti, ed erano insegnanti particolari, rispondevano a quella pedagogia militante che ha provato a graffiare e a migliorare la scuola tradizionale. Erano dei bravi insegnanti”.
Sul ruolo della conoscenza per una piena democrazia Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena, non ha dubbi: “L’università e la scuola vengono immaginate dai costituenti come un vaccino. Dopo 20 anni di pandemia fascista si pensa che il vaccino della cultura e della scuola salverà la Repubblica neonata dal riprendersi la stessa malattia. Dagli inizi degli anni 80 sempre più abbiamo massacrato scuola e università e ora ci stiamo riammalando”.
Cinquant’anni dopo
Cinquanta anni dopo ci si ritrova insomma a combattere per le stesse cose. Come ha ricordato nel suo intervento dal palco di piazza della Loggia il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, quelle persone “erano qui, in questa, piazza perché volevano riaffermare i valori antifascisti delle nostra democrazia e della nostra Costituzione e per proiettare quei valori verso il futuro e costruire quei percorsi veritieri e duraturi di reale cittadinanze per tutte e per tutti”.
E se è vero che della strage di piazza della Loggia dopo le sette inchieste e le due condanne all’ergastolo che hanno colpito Maurizio Tramonte e Carlo Maria Maggi, mancano ancora gli esecutori materiali (a processo ci sono i due presunti colpevoli, Marco Toffaloni e Roberto Zorzi) è anche vero che la verità essenziale la conosciamo. Ce lo dice con chiarezza Benedetta Tobagi: “Noi dobbiamo valorizzare la molta verità che c’è, perché quella che manca è il frutto avvelenato dei depistaggi e i depistaggi hanno certamente creato dei vuoti ma quei vuoti ci parlano delle dinamiche di potere in cui si inserivano le stragi”.
Insomma, “abbiamo un contesto in cui la verità è potente e i vuoti parlano, anzi urlano” e dunque possiamo ribaltare la celebre frase di Pasolini: “Noi sappiamo e abbiamo le prove”.