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A leggere il documento che tra i primi firmatari annovera: Enzo Cheli, Ugo De Siervo, Vittorio Angiolini, Gaetano Azzariti, Maria Agostina Cabiddu, Paolo Caretti, Roberto Zaccaria, Roberta Calvano e molti altri, c’è da rimanere stupiti. I massimi esperti di Costituzione affermano, infatti, che mentre il Titolo V della Carta definisce come l’autonomia possa essere assegnata alla singola Regione in maniera limitata e straordinaria, la legge Calderoli, affermando di voler dare attuazione a quel principio, in realtà è una norma che incentiva le Regioni a chiedere un’ampia autonomia trasformando ciò che è definito come fatto straordinario in ordinarietà.
Millantato credito
La legge Calderoli afferma di essere norma di attuazione del comma 3 dell’articolo 116 della Costituzione. E già questa affermazione non è veritiera, visto che l’articolo 1 della Legge 86/2024 definisce i principi generali dell’autonomia differenziata. Per di più quel comma 3 del 116, secondo i firmatari dell’Appello, si limita a prevedere “su iniziativa della Regione interessata” la possibilità di un limitato ampliamento dei poteri di una singola Regione per soddisfare specifiche esigenze territoriali e in via di eccezione. Gli studiosi sostengono che, invece, “la legge risulta improntata ad un principio antitetico rispetto a quello del Titolo V: sembra voler far diventare regola quella che nell’art. 116 è chiaramente concepita come eccezione”.
L’eccezione che diventa la regola
“La Repubblica è una indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”, è scritto nell’art. 5 della Costituzione, il Titolo V afferma che in casi eccezionali la singola Regione può chiedere qualche potere in più motivando la richiesta. Calderoli e la sua legge, invece, trasformano in regola l’ampliamento a dismisura dei poteri delle singole Regioni. Per di più i costituenti scrissero la legge suprema fondandola sul principio di solidarietà, ma il ministro legista lo straccia costruendo una sorta di competizione normativa ed economica tra i diversi territori.
Una norma non costituzionale
Gli autori del documento sono netti: “Non c’è niente, nell’art. 116 ed in genere nel Titolo V che possa fornire base ad una legislazione che tende a costruire l’autonomia differenziata come una sorta di principio generale”. La verità, si legge tra le righe, è che l’operazione portata avanti dal ministro e votata da tutte le forze della maggioranza di governo, ha in sé uno spirito secessionista che la Costituzione certo non incentivava.
Ma c’è di più
Se non bastasse tutto ciò, il gioco degli specchi per confondere cittadini e cittadine continua. Mentre la Costituzione impone che per dare attuazione all’autonomia occorrerebbe una legge approvata a maggioranza assoluta dal Parlamento, la legge Calderoli prevede che l’autonomia possa essere devoluta attraverso singole e semplici intese tra Regione e governo, e a Camera e Senato assegna al massimo il compito di ratificare ciò che altrove – Palazzo Chigi – sarà stato contrattato e pattuito. Dimenticando che proprio il Parlamento è o dovrebbe essere il luogo dove si afferma ed esercita la sovranità popolare.
Italia diseguale
Così come è scritta la norma, sostengono i costituzionalisti, la porta è spalancata sull’aumento delle diseguaglianze tra territori e certo non se ne sente il bisogno. Innanzitutto manca la definizione dei livelli essenziali per il godimento dei diritti sociali e politici che dovranno essere fissati con successivi atti del governo, e per di più la norma sottrae all’osservanza dei livelli essenziali uguali per tutto il Paese alcune competenze assegnandole direttamente alla singola Regione. Evviva l’Italia Arlecchino.
Le bugie dalle gambe corte
“L’idea che si tratti di una riforma a costo zero è priva di fondamento”. Questa affermazione non è nostra ma dei firmatari del documento che confutano quanto scritto nell’art. 9 della legge Calderoli: “Dall’applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Secondo i costituzionalisti, infatti: “Il calcolo dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e politici comporterà inevitabilmente lo stanziamento di un ammontare molto consistente di risorse per il loro finanziamento.
I Lep non sono fatti e non si faranno
Non sarà mica un caso che la commissione voluta da Calderoli e presieduta dal professor Sabino Cassese si è sciolta senza riuscire a definire i livelli essenziali delle prestazioni. Se avessero portato a termine il compito assegnato, la legge non avrebbe mai visto la luce perché sarebbe stato evidente quante risorse servirebbero per uniformare i diritti di cittadinanza su tutto il territorio nazionale. Scrivono ancora gli studiosi della Carta: “Non a caso questa operazione è sin qui rimasta lettera morta, in assenza di una seria valutazione sul suo impatto sul livello complessivo della spesa pubblica. Non solo, ma, ove i Lep fossero davvero definiti, la loro attuazione accentuerebbe il divario tra Regioni ricche e Regioni povere, in assenza di garanzie certe circa l’istituzione di meccanismi di perequazione”.
Un’Italia deformata
Se mai quella norma venisse attuata, secondo gli estensori del Documento si stravolgerebbe il principio di solidarietà e di leale collaborazione tra livelli istituzionali e territoriali, dando così vita a due Italie, una prospera e l’altra abbandonata a sé stessa, mettendo a rischio “il bilancio dello Stato e la stessa economia nazionale”. Oltre ad acuire diseguaglianze e spaccature.
Un pericolo e una speranza
“La conseguenza inevitabile - sostengono i firmatari qualora la norma venisse attuata - sarebbe il sacrificio dell’eguaglianza e dell'uniformità dei diritti politici, civili e sociali: in una parola dei diritti fondamentali dei cittadini. L'Italia per fortuna, non intende collocarsi in una simile prospettiva storica”. E la conclusione del documento è netta: “L’Italia, come altri Paesi europei e occidentali, ha invece esigenza di un sistema di autonomie che valga a rendere l’azione dei poteri pubblici più efficiente e più rispondente alle reali esigenze dei cittadini al fine di realizzare progressivamente l’effettiva eguaglianza e le pari opportunità di progresso sociale”.
Tante tante firme
500 mila solo nei primi 15 giorni dall’avvio della raccolta in calce al referendum che vuole abrogare la Legge Calderoli. E fino a fine settembre si può continuare a sottoscrivere sia ai banchetti che online. Tante più firme si raccoglieranno, tanto più forte è chiaro arriverà il messaggio che i cittadini e le cittadine vogliono decidere sul futuro delle istituzioni e della democrazia.