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Il susseguirsi delle procedure previste da un unico articolo del disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata, se approvato, determinerebbe la fine dell’Italia come la conosciamo. Questo l’allarme lanciato dal Presidente della Svimez Adriano Giannola nel corso dell’audizione parlamentare sull’Autonomia differenziata. ddl, secondo il professore, che contraddice una legge anch’essa firmata da Calderoli ma nel 2009 la numero 42 che, a onor del vero, non fu mai implementata. L’esito di quella in discussione alla Camera non potrà che essere una confederazione incompiuta, altro che federalismo liberale, con cittadini e cittadine non più uguali rispetto ai diritti essenziali. E, ci domandiamo noi, tutto ciò come sarebbe compatibile con l’idea di Stato affermata dal disegno di legge costituzionale sul premierato?
I sostenitori dell'Autonomia differenziata affermano che puntando sulle regioni si rende più forte lo Stato. A suo giudizio è così?
Ci possono essere vari modi per puntare sulle regioni. Con il Disegno di legge Calderoli, a mio avviso, si apre un percorso che cambia lo Stato ammesso che lo Stato rimanga in piedi in forme coerenti. Noi della Svimez non siamo pregiudizialmente contrari all’autonomia, se questa fosse attuata in ossequio della Costituzione. Il che vorrebbe dire attuare la Legge 42 del 2009 firmata da Calderoli che prevede il superamento della spesa storica e i livelli essenziali delle prestazioni. Prevede, cioè l'attuazione articolo 119 il letto in un'ottica di federalismo cooperativo liberale. Il processo alle intenzioni che stiamo facendo al disegno di legge attuale è un processo non tendenzioso. Semplicemente certifica rileva e argomenta il fatto che è tutto estraneo al federalismo cooperativo liberale, mentre mette in serio dubbio la continuità di questa Repubblica, almeno nella versione nata dalla Resistenza.
Addirittura?
Basta osservare la meccanica che questo disegno di legge esplicita in modo molto serio e molto secco all’articolo 4. Il comma 1 è il riconoscimento che tutte le materie per le quali ci sia bisogno di esplicitare i livelli essenziali delle prestazioni – al di là dell’indicare che cosa sia questo essenziale – non possono essere sottoposte a intese, contemporaneamente si afferma che il governo ha due anni per definire i Lep. Nello stesso tempo, il comma 2 dello stesso articolo afferma che tutte le altre materie non condizionate dai Lep, quelle di attuale legislazione concorrente per intenderci, possono essere oggetto di intese. Questo significa che l'Autonomia può partire.
Sembra che il governo abbia una gran fretta...
È così, almeno una parte del governo ha l’esigenza di far partire l'autonomia come un fattore reale. Il punto è che le intese vanno approvate con legge rafforzata, vuol dire una legge che non è emendabile dal Parlamento che può solo dire sì o no. E non è revocabile, in soldoni sono inevitabili e irrevocabili. Il che significa che se il ddl Calderoli venisse approvato, attraverso intese trasferiamo alla Regione la sovranità su quelle materie, che adesso sono di legislazione concorrente, che diventano di legislazione esclusiva della regione con tutte le risorse. Ma questa è la spesa storica, quindi noi stiamo rendendo irreversibile e costituzionalizzata la spesa storica. Cioè esattamente l'opposto di quello che la legge Calderoli 42 del 2009 prevedeva, cioè il superamento della spesa storica grazie alla determinazione dei Lep, grazie ai fondi perequativi di cui non si parla assolutamente in questo disegno di legge. Non solo, questo governo ha anche svuotato il Fondo destinato alla riduzione dei divari.
Presidente ci sta dicendo che il ddl Calderoni da un lato dà due anni di tempo allo Stato per definire i Lep ma contemporaneamente costituzionalizza il principio della spesa storica?
Appunto. Questo significa, ad esempio, mettere il porto di Genova al riparo rispetto al porto di Napoli da eventuali politiche perequative. E significa che, siccome per finanziare i Lep una volta definiti ci vorrebbero molti più soldi di quanto già oggi ci siano per sanità scuola, mobilità locale, si proseguirà con la spesa storica anche per le materie sottoposte a Lep. E in questo disegno non c’è solo l'intento delle Regioni richiedenti del Nord di mantenere privilegi storicamente consolidati nella ripartizione delle risorse pubbliche. Si intravede anche un movente ben più radicale delle Regioni richiedenti, che mirano ad acquisire con l'Autonomia la "sovranità" senza assumere la "responsabilità" che rimane in capo a una Repubblica ridimensionata dalle "intese" e priva, in ragione proprio di quelle, di spazi per garantire in modo equo i diritti di cittadinanza costituzionalmente previsti nell'articolo 117, comma 2 lett. m). Questo significa mettere una bomba sotto la Repubblica nata dalla Resistenza. Se un progetto del genere dovesse passare inevitabilmente il Sud reagirà e allora il rischio vero è che da un lato si crei l’aggregazione delle regioni settentrionali e dall’altro quello delle regioni meridionali. Altro che federalismo cooperativo, si andrebbe verso una sorta di confederazione di macro regioni dentro una piccola Italia.
Ma in questo gioco terrificante i cittadini e le cittadine che fine fanno? E che fine fa l’articolo 3 della Costituzione che afferma l’uguaglianza?
Questo è il punto, i cittadini e le cittadine saranno sempre meno uguali. E la Corte Costituzionale sarà chiamata mediare tra tutte queste spinte centrifughe. Non solo quelle delle regioni settentrionali, ma – come dicevo – anche le regioni meridionali cercheranno di affermare i propri interessi. E per altro esistono interpretazioni piene di illusioni sia sulla capacità del Nord di essere una grande potenza europea, che del Sud di avere un grande patrimonio di capacità di gestirsi da soli i propri interessi. E se si perde lo spirito della Costituzione nata dalla Resistenza tra un po' richiameremo il Borbone da un lato, e magari i sovrani della Lorena, visto che i Savoia sono fuori moda. Scherzi a parte, preoccupa il fatto che non solo a livello di opinione pubblica ma anche degli addetti ai lavori non sembra esserci contezza degli effetti che potrà avere il combinato disposto nella sequenza prevista nei due commi dell'articolo 4 del ddl attuativo del percorso relativo alle intese immediatamente attivabili tra Stato e Regioni con legge rafforzata. Se non fermato l’esito rischia di essere inevitabile: nasce il "Grande Nord" senza ombra di secessione. Si fomenta il contraccolpo centrifugo e illusorio per "costruire" il contraltare di un "Grande Sud" in una ormai "Piccola Italia" non ancora confederale ma, certamente, sempre più lontana dal vagheggiato federalismo cooperativo e liberale.