Il mondo del lavoro, quello fatto di precarietà, sfruttamento, ricatto, Marco Omizzolo lo conosce bene. Sociologo, scrittore, docente universitario, esperto di migrazioni, ricercatore Eurispes e Amnesty, , tra le altre cose ha realizzato uno studio sulla comunità sikh dell’agro pontino, infiltrandosi tra i braccianti indiani e seguendo un trafficante di esseri umani in Punjab.

Anche in virtù della prospettiva che ha acquisito con questa esperienza ci dice: “La scelta referendaria voluta dalla Cgil va in direzione ostinata e contraria rispetto a quella presa dal nostro Paese e rafforzata da questo governo. Perciò merita il mio sostegno”.

Quali aspetti condivide dell’iniziativa del sindacato?
In linea generale la proposta consente di rimettere al centro del dibattito politico e sociale il tema dei diritti e del lavoro. E questo è già un grande risultato per un Paese che negli ultimi 30 anni ha scelto la precarietà, diventata sistemica con questo esecutivo, insieme all’emarginazione e allo sfruttamento.

Chi colpisce la precarietà?
Precarietà e sfruttamento incidono sui giovani che rispondono anche andando via dall’Italia, emigrando, e sulle persone un po’ più avanti con l’età, che si ritrovano in condizioni di povertà lavorativa e sociale ma sono obbligati a restare. Gli ultimi dati ci dicono che 5,5 milioni di persone sotto la soglia di povertà vivono in un costante stato di emarginazione e non possono neppure comprarsi un biglietto aereo per andarsene in Francia o negli Stati Uniti, quindi rimangono qui in attesa di politiche attive del lavoro e di welfare che non arrivano. I referendum aiutano a riflettere su questa tematica e sfidano il governo e il legislatore, anche se non sono risolutivi.

Perché non sono risolutivi?
Secondo me questi referendum possono alzare il velo, aiutare il dibattito, intervenire nel merito. Ma speriamo che la vittoria obblighi il governo a politiche più ampie e coraggiose. Perché non basterà una norma o un referendum ad aggiustare le cose. Una legge potrà aiutare chi lavora per 50 centesimi o 4 euro l’ora nell’edilizia, nella metalmeccanica, nell’agricoltura, ma per risolvere precarietà e sfruttamento servono programmi politici di lungo periodo.

Qual è il problema principale della precarietà oggi in Italia?
Assistenti domestici, magazzinieri, operatori della metalmeccanica e della cantieristica, rider, giornalisti, diverse categorie di intellettuali vivono in condizione di povertà nonostante abbiano un contratto di lavoro e un impiego in strutture economiche organizzate e strutturate. Questo vuol dire che abbiamo costruito un mercato che sfrutta il lavoro anche quando è contrattualizzato.

Questo è un fenomeno solo italiano?
No, il trend europeo è molto simile: negli ultimi 30 anni le logiche e le politiche neo liberiste hanno investito tutto l’Occidente. Da noi abbiamo smobilitato il welfare pubblico, aggredito i beni comuni, e tra questi ricomprendo anche il mondo sindacale. Questo ha determinato un ulteriore impoverimento della classe operaia. Ma rispetto agli altri Paesi, in Italia abbiamo condizioni di povertà sistemiche, diffuse e ampie. A fronte della crescita della produzione i salari non crescono. La conseguenza è l’aumento delle ingiustizie in ambito lavorativo e sociale.

I lavoratori migranti in quale situazione si trovano?
In Italia è ancora in vigore la legge Bossi-Fini, una delle norme responsabili della vulnerabilità dei migranti perché li costringe alla clandestinità, una condizione che li espone a diverse forme di sfruttamento anche paraschiavistico, ricatti, prepotenze. Ho lavorato con braccianti regolarizzati arrivati con Bossi-Fini e pagati 2 euro l’ora, dalla Sicilia al Lazio al Piemonte, per 14 ore al giorno.

Quando parliamo di sfruttamento del lavoro sempre più spesso parliamo della violazione della dignità dei lavoratori, dei diritti fondamentali della persone. In questo periodo sto accompagnando donne molto spesso immigrate che sul posto di lavoro sono state sfruttate non solo dal punto di vista economico, ma hanno anche subito violenze sessuali da parte dei loro responsabili. Dal mio punto di vista, insieme ai quesiti referendari, parallelamente, dobbiamo trovare il modo per mettere in discussione e cancellare la Bossi-Fini.