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Il Covid sta aumentando le disuguaglianze di genere e il Trentino non fa eccezione. “Qui il divario tra uomini e donne si è molto accentuato con la pandemia. Questo riguarda tutti i lavori, ma soprattutto quelli più umili, come il mio di commessa o come quello di addette alle pulizie”. È la testimonianza di Maria Trentin, delegata Filcams e commessa in un supermercato della Valsugana, e conferma i dati pubblicati dalla Cgil regionale: in un anno il tasso di disoccupazione femminile nella regione è cresciuto di due punti, passando dal 5,6% al 7,6%. In assoluto le disoccupate a settembre scorso erano nove mila, tre mila in più rispetto al 2019, mentre rimane stabile il tasso di disoccupazione tra gli uomini che resta fermo al 3,4 per cento, pari a cinque mila uomini in cerca di occupazione. Dati speculari a quelli dell’occupazione, che resta stabile tra gli uomini, 134 mila, mentre cala tra le donne da 108 mila a 107 mila.
“Quanto accaduto in primavera con la diffusione del Covid, è stato per noi come un fulmine a ciel sereno – racconta Trentin -. Chi, come me, lavora in una cooperativa di consumo non è stato completamente abbandonato, ma così non è accaduto per i molti amici che lavorano nei piccoli negozi di alimentari. Eravamo impreparati, soprattutto per quanto riguarda le misure di sicurezza sanitaria. Ci è voluto del tempo per fare capire ai datori di lavoro l’importanza di queste misure. Tanti non potevano lavorare perché non c’erano le condizioni per lavare, disinfettare, contingentare gli ingressi delle persone. Motivo per il quale sono state le commesse e le addette alle pulizie a risentire di più di questa crisi”.
Maria Trentin spiega quanto sia dura per tutti. Lei stessa si è dovuta assentare dal lavoro perché si è ammalata di Covid, forse contagiata dal marito che lavora in ospedale. Ci sono però criticità precedenti la pandemia: “Sono madre e quando è nata mia figlia ero impiegata in una lavanderia, dove la allattavo mentre lavoravo, per non assentarmi. Per chi è nel settore alimentare la domenica non esiste – continua la sindacalista – e gli orari continuano a essere prolungati: non capisco perché si debba lavorare sette giorni su sette e nemmeno perché le persone debbano venire a comprare due etti di mortadella in tarda serata, in una società dove ci si organizza però per ricevere a casa i pacchi di Amazon”.
C’è tutto nelle sue parole, compresa la rabbia per l’assenza di politiche in favore del lavoro femminile, che diano come risultato un lavoro che sia paritario rispetto a quello degli uomini, che non obblighi le donne al part time involontario e a stare a casa con i figli senza possibilità di scelta. “Le lavoratrici sono ancora calpestate – conclude - e abbiamo ancora tanta strada da fare per vedere messi in pratica quei diritti che dovrebbero rendere uguali uomini e donne nel mondo del lavoro”.