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Le dichiarazioni sullo stato dell’economia nel confronto con i dati effettivi propongono qualche scostamento e contraddizione. Confindustria prevede un’importante frenata della produzione (molte aziende che rallenteranno e possibili chiusure) e conseguente forte ricorso alla cassa integrazione. Quasi tutti i commentatori economici prevedevano un calo di circa mezzo punto del Pil nel primo trimestre del 2022. Era quindi lecito aspettarsi anche un conseguente calo occupazionale. I dati per ora a disposizione da un lato propongono risultati meno gravi delle previsioni, dall’altro con il perdurare della guerra lasciano presagire un rapido peggioramento della situazione.
La stima preliminare del Pil (vedremo se confermata dai dati definitivi) del I° trimestre propone un calo meno accentuato delle previsioni e quindi il trimestre decisivo per meglio comprendere l’andamento su base annua, sarà il prossimo; indica però già alcune tendenze come ad esempio un apporto negativo della componente estera, anche grazie a meccanismi di protezionismo attivati in molti paesi.
In attesa di consultare i dati su produzione e fatturato dei vari settori di marzo, la stima del Pil indica aumenti per il comparto agricolo, calo nei servizi e stazionarietà nell’industria. Quello per ora certo è l’andamento dell’inflazione che – giustamente - tanti anni fa veniva definito “carovita”. L’attuale livello non si registrava da trent’anni e non ci siamo più abituati; sicuramente è legato all’aumento dei prezzi dei beni energetici, ma continua a diffondersi in tutti i prodotti merceologici, in particolare per quanto riguarda le persone incidendo pesantemente sul cosiddetto “carrello della spesa” e su beni indispensabili a più alta frequenza di acquisto. Le difficoltà materiali, le paure legate alla guerra, incidono invece già fortemente sul livello di fiducia delle persone. Era ovviamente prevedibile, ma come è noto la fiducia è un indicatore fondamentale sui comportamenti delle persone e molto attendibile anche per le ripercussioni sull’andamento economico. Non cala invece – nonostante le tante dichiarazioni - il clima di fiducia delle imprese, pur segnalando un incremento di ostacoli all’attività produttiva. Per ultimo, il dato sull’occupazione e sulle retribuzioni. L’andamento di marzo è stato molto enfatizzato dal presidente del Consiglio durante la presentazione delle misure a sostegno dell’economia.
Certo si è trattato di una crescita, ma l’analisi forse dovrebbe essere più attenta. Il tasso di occupazione è aumentato ma con due caratteristiche. La prima è che è più alto del 2019, pur con lo stesso numero di dipendenti, anche perché, a causa dell’andamento demografico, la forza lavoro è calata e questo non è sicuramente positivo nel Paese con il più alto tasso di inattività d’Europa. La seconda, è che non abbiamo recuperato nulla del precedente distacco con la media europea, la distanza resta quella di prima della pandemia. La differenza di fondo però è il record storico di occupati a termine dal 1977, che peggiora quindi molto la qualità del lavoro.
Le previsioni sull’inflazione sono state a lungo fluttuanti e oggi possiamo dire complessivamente sottovalutate. L’aumento inflattivo è iniziato nel 2021 e la maggioranza delle previsioni avevano pronosticato un suo riassorbimento già nel I° semestre di quest’anno; poi la guerra lo ha ulteriormente e fortemente alzato e quasi tutti adesso pronosticano un alto livello per tutto il 2022.
Sul futuro molto è legato all’andamento del conflitto, anche se meccanismi di attenuazione potrebbero e dovrebbero essere adottati. Questo però ha prodotto e ancor più produrrà effetti sulle retribuzioni dei lavoratori che Istat stima, con la persistenza di questa spinta inflazionistica, porterebbe ad una perdita di potere d’acquisto per il 2022 di quasi 5 punti percentuali. Naturalmente se i meccanismi di incremento contrattuale continueranno a seguire l’attuale andamento e senza precisi interventi, fiscali e contributivi, dello Stato.
La caratteristica delle scelte attualmente adottate o in discussione è invece caratterizzata da un forte meccanismo di temporaneità (dagli sgravi contributivi, ai diversi bonus e sconti). Queste risorse sono insufficienti già adesso, ma come saranno nei prossimi mesi e soprattutto il prossimo anno? Interventi tampone non sono e non saranno più proponibili, occorrono scelte con caratteristiche strutturali per il lavoro dipendente e i pensionati.
Il sindacato ha avanzato proposte precise sugli aumenti contrattuali, sul fisco, sulla previdenza, contro la povertà e le diseguaglianze. Confindustria sostiene, con l’assenso anche delle altre associazioni datoriali, che a causa delle difficoltà delle imprese il tema può essere affrontato solo attraverso interventi pubblici. Eppure, sull’andamento dei salari incidono fortemente scelte che vengono fatte direttamente dalle imprese: precarietà, part-time involontario, addensamento dei dipendenti nelle qualifiche basse: tutti elementi che, se non modificati, vanificherebbero anche buona parte di un intervento fiscale. Sulle scelte del Governo, a partire dai contenuti e dall’applicazione della delega fiscale, ancora non ci sono certezze. Questo è il difficile quadro in cui tutti, adesso, sono chiamati a prendere decisioni conseguenti. Naturalmente la qualità delle decisioni determinerà il clima di accordo o di conflitto dei prossimi mesi.
Vorrei affrontare un ultimo tema. Gli effetti devastanti della guerra e le sue ripercussioni non erano ovviamente prevedibili, la guerra deve essere fermata e occorre aprire negoziati per un accordo di pace. Sappiamo però che in ogni caso, i suoi effetti, economici e sociali, saranno lunghi; le sanzioni economiche probabilmente dureranno nel tempo e l’aumento dei prezzi da parte dei paesi in cui in via alternativa acquisteremo beni energetici, minerali e alimentari, non tornerà rapidamente alla situazione precedente. Quello che colpisce è che l’insieme di questi fattori nel I° trimestre ha annullato l’effetto che sulla crescita avrebbero dovuto portare gli investimenti in attuazione del Pnrr.
Questi investimenti restano importanti, vanno concretamente applicati garantendo più lavoro di qualità, ma è chiaro fin d’ora che occorre fare di più sia in Italia che in Europa, a partire da un nuovo piano di intervento solidale fra tutti i paesi e da nuove regole di funzionamento dell’Unione, come il confronto in atto sulle sanzioni dimostra e che solo una modifica dei trattati può a questo punto determinare.
Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio