Suscita sdegno e riprovazione, desta clamore nell’opinione pubblica, è contrario ai princìpi morali correnti. Lo scandalo, così definito dai dizionari, ha – secondo i punti di vista – un alleato e un nemico potente: la sua ripetizione nel tempo. Se reiterata, un’azione, per quanto incresciosa, smette di scandalizzare. Ci si chiede, dunque, se sia uno scandalo la proposta ricevuta da una restauratrice di un cantiere edile di Roma, anno domini 2025.

Assunta lo scorso anno con un contratto a tempo determinato, a dieci giorni dalla scadenza sollecita il datore di lavoro, un’azienda di restauro che opera in subappalto nei cantieri della Metro C della Capitale. La risposta che ottiene, il giorno stesso del termine del contratto, potrà non suscitare il clamore dell’opinione pubblica ed è, tuttavia, scandalosa: il titolare non si sarebbe preso la responsabilità di assumerla a tempo indeterminato, ma “se avessi aperto una partita iva – racconta la restauratrice, preferendo l’anonimato – avrei potuto continuare a lavorare presso il cantiere perché, mi è stato detto, saremmo stati tutti più liberi, senza limiti di tempo”. Singolari concetti di libertà e di infinito temporale, quelli dell’imprenditore, peraltro non fondati sulla normativa attuale che prevede, invece, la possibilità di rinnovare un contratto a termine fino a quattro volte su un totale di 24 mesi.

Un vantaggio tutto padronale

“Non abbiamo ulteriori elementi probatori – fa sapere la Fillea Cgil di Roma e Lazio che segue il caso – per affermare che la proposta si configuri come una falsa partita iva”, ossia una forma di lavoro subordinato, camuffato da lavoro autonomo. Quel che è certo, però, è il vantaggio che ne trarrebbe l’azienda. Con una partita iva, dunque non più coperta dal contratto collettivo nazionale (ccnl) dell’edilizia, la restauratrice non godrebbe di ferie e permessi, dovrebbe sostenere da sé le imposte erariali e i versamenti contributivi, nonché i costi relativi alla sicurezza (assicurazione, dispositivi di protezione individuale, corsi di formazione). “Malgrado siano state introdotte misure di miglioramento, congedi parentali e malattia restano tra gli istituti più onerosi – prosegue il sindacato – perché mantengono un principio di giustizia in un rapporto di forza molto sbilanciato: quello tra lavoratrice e datore di lavoro. È chiaro, quindi, che riversarli sulla prima porta due convenienze al secondo: economica e di rischio. Risparmio e, se ti assenti, ti sostituisco senza nessun vincolo”.

La lotta per affermare il contratto nazionale

A contrastare questa logica, i progressi ottenuti proprio con la contrattazione collettiva: nel settore edile chi presta un’opera a partita iva non può costare meno di chi lavora da dipendente e anche il suo nome va riportato nel settimanale di cantiere, ossia registrato tra le comunicazioni preventive delle presenze. “Non sono strumenti risolutivi, ma di deterrenza – spiega ancora la Fillea di Roma e Lazio – e rafforzano la possibilità di capire se la condizione autonoma sia genuina o meno”. Nella stessa direzione va letta l’intesa firmata a novembre 2023 dal Commissario straordinario Gualtieri e dalle parti sociali per la realizzazione delle opere giubilari: un protocollo che proibisce il subappalto a cascata, dispone l’obbligatorietà della formazione sulla sicurezza e impone l’esclusivo riferimento al ccnl edilizia siglato da Fillea Cgil, Filca Cisl, Feneal Uil. Princìpi, questi ultimi, sanciti anche nel 2021 dagli accordi nazionali con Rete Ferroviaria Italiana, Anas e ministero delle Infrastrutture, allo scopo di rimuovere uno dei principali scogli del settore: il dumping dei cosiddetti contratti pirata siglati da sindacati di comodo, privi di una reale rappresentanza tra chi lavora.

Discriminate perché donne

Scopo urgente soprattutto per le lavoratrici edili che lottano contro una doppia segregazione: verticale, perché relegate in ruoli di minore responsabilità, e orizzontale, poiché confinate in mansioni tradizionalmente femminilizzate. “Lavoro nei cantieri da oltre trent’anni e ho ricevuto spesso un trattamento diverso in quanto donna – torna a testimoniare la restauratrice – dalle battute allusive a sfondo sessuale o stigmatizzanti l’emotività, fino alla presunzione di una mia debolezza fisica e la conseguente esclusione da alcune operazioni. Per non parlare della scarsa propensione ad affidare a me o alle mie colleghe le chiavi del ponteggio, far valutare da un uomo con competenze pari alle mie la lista dei materiali da comprare stilata da me, o essere chiamata ‘ragazza’ anche a 50 anni. Non sono una ragazza, sono una lavoratrice”.