Le donne bianche dettano l’agenda politica delle donne di tutto il mondo. Scrivono la teoria che spiega le ragioni di quell’agenda, discriminano ciò che è femminista da ciò che non lo è, riconducono la violenza alle forme particolari che di essa vivono sulla loro pelle. Le donne bianche possiedono tuttora l’egemonia del femminismo, malgrado la voce del femminismo nero e decoloniale soffi sempre più forte sulle rive dell’Occidente. E malgrado la storia moltiplichi le prove che l’emancipazione delle donne bianche non procede parallela a quella di tutte le donne.
Una di queste prove è la legge sulla cittadinanza italiana. Il testo, entrato in vigore il 16 agosto 1992, sancì l’uguaglianza formale tra uomini e donne nella trasmissione della cittadinanza alla prole, ponendo rimedio alla pronuncia di incostituzionalità della legge precedente (555/1912) dichiarata dalla Corte costituzionale per via, appunto, della discriminazione di genere che riconosceva come “cittadino italiano per nascita chi era figlio di padre italiano”, ma non di madre. D’altronde, la stessa legge del 1992 innalzava da cinque a dieci gli anni di residenza richiesti ai fini della concessione della cittadinanza alle persone straniere non comunitarie.
La comunità di braccianti dell’Agro Pontino
Ripristinare il requisito dei cinque anni è l’obiettivo del referendum sulla cittadinanza per cui si voterà, insieme a quelli sul lavoro, l’8 e il 9 giugno prossimi. “Sarà un momento di svolta”: Laura Hardeep Kaur, segretaria generale Flai Cgil di Frosinone e Latina, sorride mentre ce lo dice in un sabato plumbeo di marzo. Siamo nel salone della Camera del Lavoro territoriale e il suo telefono squilla. “Se hanno un padrone molto aggressivo, i braccianti della zona – racconta – mi inviano ogni giorno tramite Google la posizione del campo in cui lavorano. Temono che altrimenti, nel caso in cui dovesse succedergli qualcosa, nessuno riesca a recuperare il loro corpo”. È così che Kaur ha trovato il punto in cui lo scorso giugno era stato abbandonato Satnam Singh, accanto a lui una cassetta con il braccio tranciatogli da un macchinario agricolo.
Singh apparteneva alla comunità indiana, la più popolosa tra tutte quelle con background migratorio presenti nell’Agro Pontino. “Chi arriva in Italia dall’India – ci spiega Kaur – lo fa in modo regolare, attraverso il decreto flussi o le quote stagionali per lavoro subordinato. Una volta raggiunte condizioni economiche adeguate, chiedono il ricongiungimento familiare. Ecco perché quella indiana nacque trent’anni fa come un’immigrazione prettamente maschile, ma oggi la componente femminile è cospicua”.
L’intersezione di genere e razza
Tra le ripercussioni del mancato accesso alla cittadinanza, alcune gravano su entrambi i generi, altre esclusivamente sulle donne. Tra le prime, le difficoltà di trovare un alloggio e accedere ai servizi di base. “Sempre più spesso chi si rivolge a noi – prosegue Kaur – dichiara di aver avuto un diniego alla richiesta di affitto, o di aver ricevuto solo offerte di abitazioni fatiscenti. L’idoneità alloggiativa però è un aspetto fondamentale per chi è migrante, dato che uno dei requisiti per essere in regola – oltre a un contratto di lavoro registrato all’Agenzia delle Entrate – è vivere in un’abitazione a norma. In un Paese senza politiche abitative, una casa non troppo spaziosa è un elemento ostativo al permesso di soggiorno”. Comune a uomini e donne è inoltre l’asperità di piattaforme digitali in lingua italiana per scegliere il medico di base, abbonarsi al trasporto pubblico, iscrivere figli e figlie a scuola. Altrettanto condivisa è la pratica violenta dei caporali che sequestrano il passaporto per tenere la manodopera bracciantile sotto ricatto.
La ricerca WeWorld del 2021 ha già fatto luce sulla violenza sessuale a cui sono sottoposte le lavoratrici agricole e sui problemi aggiuntivi di denunciare dovuti alla precarietà giuridica. Nella sfera domestica, se la conduzione economica della famiglia è in capo a un soggetto maschile, le discriminazioni dovute alla mancata cittadinanza assumono un peso specifico di genere. Il reddito da lavoro e la titolarità formale dell’abitazione attribuite nominalmente a padri, mariti o fratelli maggiori limitano i percorsi di fuoriuscita da relazioni abusanti. “Le donne rinnovano il permesso di soggiorno per motivi famigliari allegando il reddito del marito, di solito più alto, così come al marito è quasi sempre intestato il contratto di affitto. Quando vivono situazioni di difficoltà, andarsene è complicato perché in gioco c’è il rinnovo del permesso di soggiorno”.