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Il 3 giugno 1944, poche ore prima della liberazione della capitale da parte degli alleati, il lavoro di dialogo unitario avviato già negli anni 30 tra i principali esponenti del sindacalismo italiano culmina nella firma del Patto di Roma che sancisce la rinascita del sindacato libero. Il sindacato, la Cgil unitaria, nasce dal compromesso tra le tre principali forze politiche italiane e il Patto di Roma è siglato da Giuseppe Di Vittorio per i comunisti, Achille Grandi per i democristiani, Emilio Canevari per i socialisti. Manca una firma, quella di Bruno Buozzi, barbaramente ucciso dai nazisti in quelle stesse ore.
Con il Patto di Roma del 1944 rinasce la Cgil unitaria che, seppure destinata a una vita breve a causa delle tensioni politiche nazionali e internazionali legate al nuovo scenario della guerra fredda, inciderà notevolmente sugli assetti costituzionali dell’Italia e sulla ricostruzione materiale, economica, sociale, civile e umana del Paese, uscito sconfitto dal conflitto mondiale.
“Il 1° ottobre del 1906 - affermava in occasione del 100° anniversario della fondazione l’allora segretario generale Cgil Guglielmo Epifani - nei locali della Camera del lavoro, al termine del congresso delle organizzazioni di resistenza, i 500 delegati presenti in rappresentanza di oltre 200 mila iscritti decidevano a maggioranza, con il voto contrario dei delegati rivoluzionari - che avrebbero poi abbandonato il congresso - di costituire in Italia la Confederazione generale del lavoro, affidandole la direzione generale assoluta del movimento proletario, industriale e contadino, al di sopra di qualsiasi distinzione politica".
Quel soggetto confederale, che nasce quel giorno, è altro "e più delle rappresentanze di categoria, professione, arte e mestiere e del mutualismo delle origini", prosegue Epifani: "Non è altro perché diverso e non è più perché sovraordinato. Ma perché l’identità confederale richiede inevitabilmente una ricerca permanente di valori e politiche di unità, partendo dalle differenze; e un’idea alta di autonomia comunque espressa nelle alterne fasi che hanno segnato la storia dei rapporti fra partiti e sindacati. Solo un sindacato confederale - quello di ieri e quello di oggi - può tenere unite dentro di sé le ragioni dei lavoratori della terra a quelli dell’industria, quelli pubblici e quelli privati, quelli del Sud e quelli del Nord, gli emigranti e gli immigrati, i giovani che studiano, i disoccupati, gli anziani e i pensionati. Tutto, proprio tutto, della vita centenaria del sindacato italiano sta qui, in quell’atto, in quella scelta, in quell’inizio. In quell’idea - come ci ricorda Vittorio Foa - per la quale battendosi per i propri diritti si pensa insieme sempre ai diritti degli altri".
Fino al 1948 l’impegno del sindacato si concentrerà soprattutto su due piani. In primo luogo, Cgil e imprese formeranno una serie di accordi interconfederali tesi ad annullare gran parte delle norme fasciste anche attraverso la disciplina di istituti contrattuali molto importanti (dalle Commissioni Interne alla scala mobile, dai licenziamenti alla cassa integrazione guadagni). In secondo luogo, all’indomani del voto del 2 giugno 1946, che aveva sancito la vittoria della Repubblica sulla monarchia e aveva eletto i deputati per l’Assemblea Costituente, il sindacato giocherà un ruolo politico di assoluto rilievo nella elaborazione della Costituzione, che all’articolo 1 definisce l’Italia “una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
Dopo le elezioni politiche del 18 aprile 1948, che vedono la netta affermazione della Democrazia cristiana e la sconfitta del Fronte popolare (Pci e Psi), e dopo l’attentato a Togliatti del 14 luglio, cui la Cgil reagisce con lo sciopero generale politico, la corrente democristiana decide la scissione. Il periodo delle scissioni sindacali si protrae per circa due anni, dall’estate del 1948 alla primavera del 1950. La prima componente a lasciare la Cgil fu quella cattolica che nell’ottobre 1948 costituì la Libera Cgil, guidata da Giulio Pastore; dopo alcuni mesi, nel giugno 1949, fu la volta delle componenti socialdemocratica e repubblicana che dettero vita alla Fil (Federazione Italiana dei Lavoratori). Il percorso terminerà con la nascita della Uil nel marzo 1950 e della Cisl il mese successivo.
“Non può dimenticare - dirà Luciano Lama anni dopo - chi lo ha vissuto e magari da principio lo considerò come una liberazione da troppi condizionamenti, il periodo duro della divisione tra la fine degli anni Quaranta e il decennio successivo che vide l’isolamento della Cgil, gli eccidi di lavoratori, le rappresaglie padronali, i più di cinquanta quadri nostri, dirigenti coraggiosi dei contadini del feudo, trucidati dai fucili a canne mozze o dai nodi scorsoi dei killer della mafia. (…) Erano gli anni dei reparti confino, dei ricatti nelle elezioni delle commissioni interne che videro restringersi la nostra forza organizzata e, contemporaneamente, videro l’impavida tenuta del quadro dirigente, di tanti militanti di base perseguitati ma non piegati. Quelle prove crudeli, dolorose mi fecero riflettere sul significato profondo di concetti come l’unità, la coerenza, il coraggio di riconoscere i propri errori per correggerli, il rifiuto delle due verità. Fu quello il tempo in cui si diffusero sentimenti profondi di solidarietà, si cementarono molte amicizie e alcune, anche, si spezzarono”.
La Cgil unitaria non sopravviverà alle tensioni della guerra fredda e dello scontro politico italiano ma avrà l’indubbio merito storico di “conferire al sindacalismo italiano un’importanza mai venuta meno nella struttura e nel funzionamento della nostra democrazia”. La firma del Patto di Roma è - di per sé - un evento straordinario, non solo per gli effetti che produce, ma anche per il lavoro di tessitura unitaria che lo precede e per il modo in cui viene siglato. È bene ricordare, infatti, come l’intesa venga raggiunta in piena clandestinità durante l’occupazione nazista.
Il Patto trae sostegno dalla spinta dei lavoratori che dal marzo 1943, e poi ancora nel novembre-dicembre 1943 e nel marzo 1944, tornano a scioperare contro il fascismo, responsabile della guerra e delle terribili condizioni di vita e di lavoro che questa comporta.
“Gli scioperi del marzo del 1943 - scriveva Lizzadri - ratificarono, dopo un mese di lotta, non soltanto la vittoria dei lavoratori sul terreno salariale. Essi segnarono qualche cosa di più: la prima, grande vera sconfitta del fascismo nei suoi elementi ritenuti i più vitali, quali la potenza della forza repressiva poliziesca e di partito, il mito della sua organizzazione, la decantata adesione totalitaria dei lavoratori e del popolo italiano al regime”. È la resurrezione come massa della classe operaia dopo più di venti anni di oppressione, una rinascita che pone le basi di quella nuova unità delle grandi correnti sindacali storiche poi sancita dal Patto di Roma dell’anno successivo.