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Il 6 luglio del 1960 a Roma viene negata l’autorizzazione a una manifestazione in ricordo dei martiri della Resistenza. Ma i romani non ci stanno e sfidando apertamente il divieto scendono per le strade.
“La decisione di andare in corteo a portare la corona alla lapide di Porta San Paolo - ricorderà anni dopo Marisa Rodano - malgrado la manifestazione (…) in precedenza autorizzata, fosse stata vietata dal Prefetto di Roma solo mezz’ora prima dell’appuntamento - un’autentica e voluta provocazione! - era stata adottata durante una concitata riunione improvvisata, convocata da Paolo Bufalini, allora segretario della Federazione romana del Pci, non ricordo bene dove, forse nella sede della sezione del Pci di San Saba. Si era deciso, per “forzare il blocco” - l’idea era stata proprio di Bufalini -, di mettere tutti i parlamentari in testa al corteo (…) Così ci muovemmo, preceduti dalla corona, lungo viale Aventino. Fatti pochi passi, prima ancora di raggiungere Porta San Paolo, cominciò il finimondo: la cavalleria, guidata da Raimondo D’Inzeo, caricò la testa del corteo, su cui si rovesciava il getto di acqua colorata degli idranti, e intervenivano le camionette della celere. La folla si disperse per i giardinetti dietro l’ufficio postale Ostiense, per le scale che salivano tra le case verso San Saba e per le vie del vicino quartiere Testaccio. Si scatenò una vera e propria guerriglia urbana: i manifestanti si difendevano dalle cariche gettando sulla polizia tutti gli oggetti che riuscivano a trovare. Franco Rodano, Ugo Bartesaghi ed io non so come ci ritrovammo illesi e asciutti in mezzo alla confusione. Pietro Ingrao però, e un parlamentare socialista di Bologna, l’on. Gian Guido Borghese, vennero feriti dalle manganellate e furono subito portati alla Camera: entrarono sanguinanti in aula, dove avvenne un vero putiferio. Quella decisione di portare la corona a Porta San Paolo avrebbe avuto conseguenze di non poco conto: gli eventi di Roma - l’attacco ai parlamentari che guidavano il corteo, il ferimento di alcuni di loro - scatenarono scioperi generali e manifestazioni in tutta Italia, innescando una serie di drammatici scontri”.
All’alba del 6 luglio Roma appare in stato di emergenza. Consistenti reparti di polizia e carabinieri in assetto di guerra presidiano i punti nevralgici della città. Porta San Paolo si presenta accerchiata da celerini e carabinieri, per la prima volta vengono utilizzati i carabinieri a cavallo (a comandare i carabinieri a cavallo è Raimondo D’Inzeo, che in settembre parteciperà alle Olimpiadi di Roma, conquistando la medaglia d’oro). Si improvvisano barricate. Si resiste. Due parlamentari, il comunista Ingrao e il socialista Borghese, vengono feriti durante gli scontri violentissimi e portati alla Camera ancora sanguinanti, scatenando fortissime proteste. Alle ore 20 e 50 la Cgil invia un fonogramma direttamente a Ferdinando Tambroni.
Il testo, firmato da Agostino Novella e Fernando Santi, recita: “In relazione luttuosi et gravi avvenimenti Licata ed altre località oltrecché numerosi interventi forze di polizia contro libero esercizio diritto di sciopero, segreteria confederale chiede urgente colloquio S.V.”. In piazza quel giorno ci sono i parlamentari, i professori dell’università, gli studenti, i lavoratori.
Ci sono i vecchi partigiani e tantissimi giovani. Giovani che, diceva Giorgio Amendola, “avevano meno di cinque anni al momento della Liberazione”. Giovani “cresciuti in questa Italia clericale, corrotta e bigotta. Spesso c’è sembrato che ci giudicassero severamente o che ci sopportassero come rispettabili noiosi brontoloni. Eppure sono giunti all’appuntamento e hanno gettato nella nuova battaglia il patrimonio immenso delle speranze, degli ideali, dell’entusiasmo dei venti anni”.
La giornata del 6 luglio 1960, dirà lo storico Vittorio Vidotto, “resa memorabile dalle cariche della cavalleria che fecero rivivere la brutalità delle repressioni ottocentesche, segnò la nascita di una nuova «piazza antifascista»: nuova per l’età di una parte dei suoi componenti, giovani studenti di origine borghese, e nuova per la sua capacità di occupare, da allora, la scena cittadina romana. Una scena dominata negli anni precedenti dalle manifestazioni di stampo nazionalista egemonizzate dai missini”.