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Bruno Buozzi nasce a Pontelagoscuro (Ferrara) il 31 gennaio 1881. Aderisce nel 1905 al sindacato degli operai metallurgici e al Partito socialista italiano, militando nella frazione riformista di Turati. Nel 1920 è tra i promotori del movimento per l’occupazione delle fabbriche.
Più volte eletto deputato socialista prima della presa del potere da parte del fascismo, nel 1926 espatria in Francia (è fra i pochissimi sindacalisti che Mussolini corteggia, ma rifiuterà con convinzione ogni coinvolgimento con il nuovo regime). In Francia Buozzi apprende la notizia della decisione da parte del vecchio gruppo dirigente della CGdL di proclamare l’autoscioglimento dell’organizzazione. Contro tale decisione ne decreta la ricostituzione a Parigi.
Il 1º marzo 1941 viene arrestato dai tedeschi su richiesta delle autorità italiane e rinchiuso nel carcere di La Santé, dove ritrova Giuseppe Di Vittorio. Il regime fascista lo assegna quindi al confino a Montefalco (Perugia), dove rimane per due anni, prendendo alloggio in un piccolo stabile.
Dopo il rovesciamento di Mussolini del 25 luglio 1943 viene liberato. Insediato al vertice dell’organizzazione dei lavoratori dell’industria dal Governo Badoglio, dopo gli scioperi di Torino sarà lui a siglare con gli industriali l’importantissimo accordo interconfederale per il ripristino delle Commissioni interne, il cosiddetto patto Buozzi-Mazzini.
Attivo nel tentativo di contrastare l’ingresso dei tedeschi a Roma a Porta San Paolo, entrerà in clandestinità durante l’occupazione della Capitale col falso nome di Mario Alberti. Il 13 aprile 1944 viene arrestato. Sarà trucidato due mesi più tardi.
La sera del 3 giugno, con altre 13 persone, è caricato su un camion tedesco. Il giorno seguente - sembra per ordine del capitano delle SS Erich Priebke - viene ucciso con tutti i suoi compagni.
“Bruno Buozzi - recitava un manifesto apparso sui muri della Capitale finalmente libera a firma del Psiup - il nostro compagno di fede e di lotta, il socialista rimasto fedele durante tutta la sua vita all’ideale di elevazione della classe lavoratrice, è stato vilmente assassinato in Roma dai fascisti e dai nazisti. Proprio nella ricorrenza del XX anniversario dell’assassinio di Giacomo Matteotti, che fece fremere di sdegno il mondo civile, un altro dei migliori è andato ad accrescere l’albo del martirologio socialista italiano. (…) Lo spirito di Bruno Buozzi non si placherà sino a quando non gli verrà resa giustizia con le altre innumerevoli vittime del fascismo cadute per una causa santa e giusta. Dominiamo la nostra commozione, asciughiamo le nostre ciglia e nel nome di Bruno Buozzi intensifichiamo la nostra attività, spronati e illuminati dalla sua fede, per raggiungere quelle mete alle quali egli dette tutto se stesso fino al supremo olocausto della vita”.
Buozzi, affermava Pietro Nenni il mese successivo, “non era l’uomo uscito dalla sua classe per passare ad altra classe”, aveva “una formazione fatta nella strada e non nelle scuole (...) una tendenza all’osservazione della vita più che allo studio astratto della vita”. Era un uomo “che si è sempre posto di fronte ai problemi della vita e della lotta sentendosi il rappresentante di coloro che da giovane lo avevano strappato all’officina per farne prima un rappresentante di leghe, poi il segretario generale della Fiom, infine il segretario generale della Confederazione del lavoro”.
“Nessun lavoratore italiano che abbia conosciuto Bruno Buozzi potrebbe ricordare il suo martirio senza sentirne un profondo dolore”, dirà Giuseppe Di Vittorio: “Bruno Buozzi è stato uno dei dirigenti sindacali fra i più amati dal proletariato, perché Egli fu il tipo più completo dell’organizzatore che abbia prodotto il movimento operaio italiano”.