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Il 28 maggio 1974 a Brescia è prevista una manifestazione unitaria contro il terrorismo neofascista indetta dai sindacati e dal Comitato antifascista.
Il clima è freddo e piovoso.
Alle ore 10.12 Franco Castrezzati, segretario dei metalmeccanici della Cisl bresciana, sta parlando dal palco a nome della Federazione unitaria. La sua voce viene rotta, improvvisamente, dall’esplosione di una bomba.
I morti sono otto, di cui cinque attivisti del sindacato scuola della Cgil: Giulietta Banzi Bazoli di anni 34, Livia Bottardi Milani di anni 32, Clementina Calzari Trebeschi di anni 31, Euplo Natali di anni 69, Luigi Pinto di anni 25, Bartolomeo Talenti di anni 56, Alberto Trebeschi di anni 37, Vittorio Zambarda di anni 60 (Luigi Pinto morirà qualche giorno dopo, il 1° giugno, Vittorio Zambarda il 16).
8 persone: 5 insegnanti attivi nel sindacato, 2 operai, un ex partigiano. Un microcosmo specchio dell’Italia che pacificamente lotta e spera, che scende in piazza per una manifestazione antifascista.
“Una bomba con un chilo di tritolo è scoppiata questa mattina fra la folla che partecipava ad una manifestazione contro la violenza e il terrorismo neofascista in Piazza della Loggia, nel cuore di Brescia - scrive il Corriere della Sera -. Un massacro, sei morti oltre novanta feriti, due dei quali in gravi condizioni: l’attentato più grave dal giorno della strage di Piazza Fontana a Milano; una sfida sfrontata alle istituzioni democratiche, un’azione abietta e crudele diretta a seminare morte e dolore, indiscriminatamente, fra la massa pacifica della popolazione, fra i lavoratori, fra gli studenti. È stato - non vi possono essere dubbi - un attentato di marca nera, giunto al termine di una lunga serie di violenze, di provocazioni, soprattutto di attacchi dinamitardi, che da oltre due anni hanno fatto di Brescia il punto più caldo e la chiave di volta del terrore fascista”.
La risposta del Paese è impressionante: il giorno dopo a Milano oltre 200 mila persone confluiscono in Piazza del Duomo dove a nome della Federazione unitaria parla Agostino Marianetti; a Napoli, alla presenza di circa 100 mila manifestanti, a parlare è Franco Marini; a Bologna in piazza Maggiore parla Bruno Trentin, a Torino Giorgio Benvenuto, a Roma - in Piazza San Giovanni dove confluiscono oltre 300 mila persone - intervengono Luciano Lama, Raffaele Vanni e Luigi Macario.
Nell’aprire la manifestazione in Piazza San Giovanni dirà Luciano Lama: “Da Piazza Fontana a Brescia una mente criminale, una mano sola ha operato per colpire a morte lo stato democratico per spegnere nella coscienza dei cittadini l’amore per la libertà; ma compagni e amici dei partiti democratici, questo disegno che vuole disgregare il paese non riesce: i grandi valori della Resistenza non sono senza difensori. Voi li vedete qui oggi, questi difensori riuniti come in altre cento piazze d’Italia, decisi a difendere le istituzioni, a promuovere il progresso sociale e civile”.
Il sindacato decide di organizzare un presidio permanente della piazza. Il suo servizio d’ordine costruisce un sistema di controllo inflessibile e la Camera del lavoro diventa la sede operativa da cui viene coordinata la risposta operaia alla strage, la gestione della piazza e della città fino al giorno dei funerali delle vittime, funerali di Stato che si tengono il 31 maggio successivo.
Terminata la celebrazione religiosa, Franco Castrezzati riprende il discorso interrotto dall’esplosione della bomba il 28 maggio: “Mi è difficile riprendere la parola in questa piazza dove il mio discorso nella manifestazione di martedì venne interrotto tragicamente dalla violenza omicida dei fascisti. La scena di orrore di quel giorno è davanti ai miei occhi insieme allo sdegno e la rabbia di una folla che aveva immediatamente avvertito la sfida che i fascisti intendevano lanciare con il loro gesto criminale alle istituzioni democratiche e al movimento operaio. Questo disegno è stato sconfitto dalla reazione unitaria testimoniata dalla presenza popolare sul luogo della strage in tutti questi giorni, dalle assemblee di fabbrica dei lavoratori bresciani, chiamati a raccolta dai sindacati, dai partiti che hanno portato all’unanime condanna e al definitivo isolamento nella coscienza civile del terrorismo eversivo”.
Per la Federazione unitaria parla Luciano Lama, uno dei pochi a non essere contestato.
Per la strage di Piazza della Loggia sono stati celebrati tre processi. L’ultimo, terminato nel 2017, ha condannato per strage il dirigente di Ordine Nuovo Carlo Maria Maggi - come organizzatore dell’eccidio - e il militante (e informatore del Sid) Maurizio Tramonte, per concorso. Ancora aperto è il procedimento che vede imputato Roberto Zorzi (all’epoca ventunenne) accusato di essere, con l’allora minorenne Marco Toffaloni (che sarà giudicato dal Tribunale dei minori) uno degli esecutori materiali dello scoppio.
“Il 28 maggio 1974, alle ore 10.12, ho smesso di essere quel che ero e ho cominciato a essere quello che sarei stato per il resto della mia vita: un sopravvissuto - dirà Redento Peroni, ferito nella strage -. Io prendevo 100 mila lire al mese, ne pagavo 27 mila di mutuo. Perdere un giorno di salario era un sacrificio grosso. Quel giorno non lo facevo per i miei diritti, ma per la libertà di tutti. Scioperavo per gli altri, non per me stesso. Quella mattina un collega mi indica un fascista che era in piazza. Strano, penso. Comincio a seguirlo. E nel frattempo guardavo nella fontana, nelle griglie a terra, se c’era qualcosa. Poi l’ho perso di vista. Ero sotto la pioggia, vicino al cestino. Poi un uomo, in dialetto, mi ha detto 'ragazzo vieni sotto i portici, non ti fradiciare'. Mi sono spostato (…) Quando è scoppiata la bomba il corpo dell’uomo che mi aveva fatto spostare, Bartolomeo Talenti, e quello di Euplio Natali mi hanno fatto da schermo, salvandomi. (…) Ho vissuto decenni sentendomi in colpa per essere rimasto vivo in mezzo a quel massacro. Ho aspettato 43 anni di sapere la verità, non per vendicarmi. Io sono sempre stato disposto a perdonare, ma volevo volti, nomi. Volevo sapere chi e perché aveva messo quella bomba che ha ridotto a brandelli e ucciso otto persone, ferito più di cento giovani, donne, operai. Adesso finalmente è fatta giustizia anche se tutta la verità forse non la sapremo mai”.
“La storia di Piazza Loggia - scriveva Manlio Milani - è anche la storia delle vittime di quella strage e delle ragioni per cui consapevolmente erano, eravamo, in piazza quella mattina del 28 maggio 1974 per partecipare a quella manifestazione antifascista con l’obbiettivo non solo di respingere la violenza, ma di assicurare spazi di relazione e di dialogo a tutti. Proprio per questo la loro storia s’intreccia con le ragioni della Storia da loro e da noi ereditata. Se per Euplo e Vittorio vi era il riflesso di una continuità con il contributo diretto dato nella Resistenza, del suo sbocco costituzionale, negli altri la presenza nasceva da una articolata idea interpretativa di quella eredità ma dentro l’antifascismo delle regole, della solidarietà, del riconoscersi nell’altro, in quel diritto di cittadinanza che ci fa sentire uguali rispetto a quelle regole. Era in questo la loro identità di cittadini, che poi si esprimeva nell’insegnamento praticato da Alberto, nel lavoro operaio di Bartolomeo; nell’essere - come Luigi - insegnante emigrato dal Sud al Nord in cerca di un lavoro, non solo per se stesso, e per poter guardare con autonomia al proprio futuro; nell’insegnamento e nella cultura emancipatrice della donna ben rappresentata da Livia, Giulietta, Clem. Un’identità non come rinuncia alla propria visione del mondo, ma come ricerca di conoscenza e di dialogo entro il quale rivendicare le proprie aspettative”.
… senza illusioni, ma senza disperare (Livia, 1964).