Pubblichiamo un estratto da Valerio Strinati, La Costituzione e il lavoro, supplemento a «Rassegna Sindacale», novembre 2009 (qui il PDF della guida integrale)

Proprio a partire dalla caratterizzazione del patto costituzionale “squilibrato” in favore del lavoro, si può comprendere lo stretto legame che unisce il principio lavoristico e quello democratico al principio di eguaglianza (art. 3): quest’ultimo è enunciato non solo nei termini del fondamentale assioma della pari dignità sociale dei cittadini e della parità della loro posizione di fronte alla legge, ma anche come una finalità precipua dell’ordinamento, il cui conseguimento è subordinato all’adempimento del dovere gravante sulla Repubblica (quindi non solo sullo Stato, ma su tutti i soggetti titolari di poteri pubblici) di adoperarsi affinché siano rimossi gli “ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

In questo contesto, il principio lavoristico assume concretezza ed effettività come parametro di valutazione della posizione dei cittadini nella vita pubblica e come criterio di azione per le istituzioni: il lavoro, in effetti, costituisce il nucleo essenziale di qualsiasi intervento mirante a rimuovere i fattori di esclusione e di marginalità prodotti dagli squilibri sociali e a promuovere ed estendere i diritti di cittadinanza.

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  • Diritti di cittadinanza
    La cittadinanza definisce il rapporto tra lo Stato e le persone fisiche che ne fanno parte a pieno titolo. La posizione dei cittadini di fronte ai poteri pubblici contempla una serie di diritti che di norma sono sanciti nelle costituzioni. Essi sono classificati in diritti civili, riguardanti l’autonomia dei privati di fronte al potere pubblico; politici, ovvero di partecipazione alla determinazione dell’indirizzo politico, e sociali, cui corrispondono obblighi del potere pubblico attinenti alle condizioni di vita dei cittadini stessi.
     
  • Diritti sociali
    Il rapporto di consequenzialità tra l’art. 1, 1° comma e l’art. 3, 2° comma, è testimoniato anche dai lavori preparatori della Costituzione. Nel Progetto sottoposto all’Assemblea Costituente, l’art. 1 affermava: “L’Italia è una Repubblica democratica. Essa ha a fondamento il lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. La sovranità emana dal popolo ed è esercitata nei limiti della Costituzione e delle leggi”. L’Assemblea decise di spostare il secondo periodo all’articolo 3, adottando una formulazione più rigorosa nel vincolare la condotta dei poteri pubblici alla garanzia della effettività del principio di eguaglianza; per tale via, inoltre, era chiarito il fondamento costituzionale dei diritti sociali.

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La dimensione sociale entro la quale il legislatore costituente ha inteso calare il principio di eguaglianza esalta il valore del lavoro come strumento privilegiato di affermazione della dignità individuale, indissolubilmente collegato al fine dell’integrazione sociale: in questa prospettiva, il dettato costituzionale va oltre una visione meramente economicista del lavoro stesso, per assumerlo come la più incisiva espressione della persona umana nella sua dimensione sociale, in funzione della crescita materiale e culturale della collettività (Mortati, 1954), coerentemente con la prospettiva personalista, enunciata dall’art. 2, nel quale si esprime uno dei più rilevanti contributi del cattolicesimo democratico all’elaborazione della Carta costituzionale. Questa visione del lavoro come funzione sociale preminente rispetto al fine di tutelare la dignità sociale dell’individuo (Onida, 1984) si espande oltre il limite della cittadinanza, per coinvolgere tutti coloro che vivono e lavorano sul territorio della Repubblica.

Questo tema, probabilmente, non era particolarmente avvertito dai costituenti, preoccupati piuttosto di sancire la libertà di emigrazione e di assicurare la tutela dei lavoratori italiani all’estero (art. 35, 4° comma), ma è oggi di notevole attualità. La massiccia dimensione del fenomeno migratorio ha determinato, infatti, una crescente divaricazione tra cittadinanza e lavoro che è necessario ricomporre.

L’elaborazione di percorsi giuridici e culturali che facilitino e guidino questo processo può trovare un solido punto di partenza in una interpretazione evolutiva delle norme costituzionali ancorata al principio personalista e all’attualità di una visione del lavoro come strumento primario di emancipazione, nella prospettiva di un modello di cittadinanza aderente ai fenomeni di globalizzazione che investono non solo la sfera della produzione e dello scambio, ma anche quella della convivenza democratica in una società ormai multietnica.