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Oggi più della metà della popolazione mondiale (4,4 miliardi) vive in città (6,7 miliardi, 68% nel 2050) che colonizza il 2% della superficie terrestre ed emette l’80% dei gas serra. Nell’Unione europea esse oggi coprono il 4% del territorio, e sono il luogo di abitazione del 75% dei cittadini, consumano il 65-70% dell’energia e contribuiscono in misura analoga alle emissioni climalteranti. Le città sono quindi il campo di battaglia, il terreno d’elezione sul quale occorre affrontare la triplice sfida - sociale, ambientale ed economica – dello sviluppo sostenibile e della transizione ecologica, a cui oggi si aggiunge una drammatica crisi strategica, di autodeterminazione delle democrazie dinanzi alla logica di stampo imperiale che assumono i conflitti di rango globale. L’attuale stato delle politiche urbane in Italia, messo a confronto con gli obiettivi internazionali (Unione europea) e globali (Nazioni unite) segna alcuni punti di profonda riflessione.
Punto primo: non ce la stiamo facendo, gli obiettivi energetico-climatici al 2030 e al 2050, a politiche in atto, non sono raggiungibili. L’energia da Fer non ci salva, senza una profonda sobrietà energetica che ci allontani dagli attuali consumi opulenti la decarbonizzazione non potrà avvenire (Gates 2022, Mills MP 2022).
L’Italia produce da proprie fonti solo il 22% dell'energia che consuma, contro una media europea del 40%, e anche se tutte le politiche in essere avessero pieno successo per il 2030 il livello di autodeterminazione energetica non potrà andare oltre il 58%. L’obiettivo di una riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030 costerebbe all’Italia qualcosa come 1..100 miliardi di euro, circa 140 miliardi anno (stima Confindustria) che, stanti le criticità del bilancio pubblico, occorrerebbe reperire nei bilanci di famiglie e imprese, già sotto pesante stress a causa della congiuntura gravemente sfavorevole per oggi e immaginabilmente per alcuni anni futuri.
Eppure il Pniec nella sua versione definitiva non è nemmeno sufficiente, tanto che la Commissione europea ha chiesto di rivederlo in profondità. Una delle azioni determinanti, stanti i limiti oggettivi alla installazione di nuova capacità da Fer, è quella di riduzione dei consumi. Mentre le attività industriali hanno già ridotto i loro consumi e sono in grado, spinte dai livelli dei prezzi, di mettere in campo ulteriore efficienza, il ritardo si accumula in settori più tradizionali (agricoltura, edilizia) o con strutture più rigide (mobilità, trasporti).
Punto secondo: dobbiamo provarci, per salvare la pelle e perché lo sforzo produce lavoro e diverso sviluppo. Occorre ricostruire una democrazia locale e una giustizia sociale basate sul valore sociale del lavoro, quale attività produttrice di ricchezza e di senso. Lavoro sapiente e lavoro saggio, che sia in grado di socializzare le condizioni di sostenibilità che ci possono salvare. Il lavoro come contesto di mutuo apprendimento e di riscoperta delle condizioni sociali di condivisione e cooperazione.
Punto terzo: la democrazia urbana e il policentrismo cooperativo sono in conflitto con l’imperialismo. Se ieri l’autonomia delle città, dai comuni italiani alla Lega Anseatica, sfidava l’Impero, oggi mentre il mercato dinanzi alla scarsità delle risorse ha ripreso a comunicare inflazione anziché deflazione, accade anche che una politica imperiale bombarda le città e le svuota degli abitanti per affermate un dominio geostrategico nemico di ogni comunità insediata.
Occorre affermare la necessità dell'autodeterminazione di città e territori locali contro l’eccessiva dipendenza (finanziaria, energetica, alimentare cognitiva) dalle piattaforme del dominio globalizzato promosso dalla presente marca di capitalismo. Ma occorre misurare la grande distanza esistente fra il concetto di città degli anni ’60 e la realtà della vita sociale attuale nella complessità insediativa contemporanea. Non è più la compresenza a costituire il legame sociale, in gran parte oggi dipendiamo dalle piattaforme social. Non c’è ecologia ambientale senza ecologia umana (Bateson, Morin); e ciò serva di indirizzo per ripensare il ruolo del lavoro come portatore di civilizzazione.
Che fare: avviare la costruzione di vertenze territoriali per la costruzione delle agende urbane per lo Svs, che consentano di individuare e praticare nuovi paradigmi locali nella globalizzazione: verso un recupero della capacità di autodeterminazione dei territori, nuove forme di pianificazione strategica prodotte da coalizioni territoriali che sfruttino nuovi processi di territorializzazione per la creazione di legame sociale come componente essenziale del modello di sviluppo.
Nuovi processi di territorializzazione:
- del servizio sanitario: le case della salute e le case di comunità; la medicina territoriale (cfr. fascicolo sanitario elettronico)
- del welfare condiviso: le comunità urbane; i Community Hub
- della cura dei beni comuni: i patti di collaborazione
- dell’energia: le comunità energetiche
- delle politiche del clima: i Paesc e i piani di adattamento urbano
- della cura del paesaggio: i contratti di fiume, di lago, di costa e di montagna; le azioni di retake
- dell’impresa collaborativa: i FabLab e il coworking; le cooperative di comunità; gli empori solidali
Costruzione di vertenze territoriali (esempio l’Agenda per lo SvS “Taranto 2030”), anche a partire da singole crisi aziendali ma superando l’egemonia delle categorie in una visione confederale, con la capacità di costruire alleanze con le forme organizzate del terzo settore.
Ruolo essenziale degli enti territoriali:
- riforma degli enti di governo del territorio con la costituzione delle Collettività Territoriali, così come è avvenuto in Francia, e renderle protagoniste della conversione ecologica;
- potenziare gli organi tecnici degli enti territoriali, indeboliti da un decennio di tagli (Mims-Stemi 2022) e di impoverimento delle competenze;
- recuperare la capacità di governo locale e di spesa per investimenti oggi assai bassa (Openpolis 2022), con l’abilitazione a orientare il gettito della fiscalità immobiliare (anzitutto l’Imu) per politiche di rigenerazione fisica e ambientale e di coesione sociale;
- costruire coordinamenti con le vertenze del pubblico impiego locale e delle aziende Anea e Confservizi regionali;
- valorizzare i settori di pubblica utilità come fattori abilitanti dello sviluppo socioeconomico del territorio, e in particolare il loro possibile ruolo trainante per le politiche di risparmio energetico e di realizzazione delle comunità energetiche territoriali;
- connettere le politiche per la casa alle politiche per il lavoro, nella prospettiva territoriale dell’area vasta;
- avviare pratiche di uso sostenibile e rinaturazione del suolo integrate nelle politiche di rigenerazione urbana e di mitigazione e adattamento climatico (Paesc), anche come risposta al tema abitativo;
- potenziare le politiche di mobilità urbana, anzitutto all’interno dei Pums, per orientarle al raggiungimento degli sfidanti obiettivi al 2030 e al 2050, che prevedono un drastico abbattimento della mobilità privata su gomma, dagli attuali valori oltre i 600 veicoli per 1000 abitanti a meno di 200.
Simone Ombuen è docente all'Università di RomaTre
-> SPECIALE IDEA DIFFUSA n.03/2022 LE CITTÀ NELLA TRANSIZIONE