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L’impatto della innovazione tecnologica e digitale sulla trasformazione dei processi di gestione delle risorse umane cresce esponenzialmente e con sempre maggiore velocità. L‘irruzione dell’intelligenza artificiale (Ia) pone questioni rilevanti dal punto di vista della regolazione lavoristica che vanno affrontate nell’ottica di soppesare rischi e opportunità al fine d'individuare le modalità più opportune per assicurare la tutela dei lavoratori nei nuovi scenari. I principali rischi connessi all’Ia che vengono segnalati riguardano le possibili nuove forme di discriminazione, la «disumanizzazione» della gestione delle relazioni di lavoro e dell’esercizio dei poteri datoriali, i rischi di opacità delle scelte organizzative e datoriali.
È vero però che sono anche molte le opportunità per i lavoratori e le lavoratrici che possono sprigionarsi grazie all’impiego delle nuove tecnologie, ove adeguatamente gestite e controllate. Si pensi, ad esempio, ai guadagni di efficienza e pari opportunità che possono derivare dalla digitalizzazione del mercato del lavoro sul piano del matching domanda/offerta, ma anche nell’ottica della personalizzazione della formazione professionale e dello sviluppo del capitale professionale o anche sul piano della sicurezza sul lavoro. Più in generale la digitalizzazione può accrescere le opportunità di partecipazione al mercato del lavoro e l’efficienza e standardizzazione/prevedibilità dei processi decisionali.
L’Ia potenzialmente può pervadere tutte le fasi di gestione delle relazioni di lavoro, dalla fase preassuntiva, alla fase d'instaurazione e di gestione del rapporto di lavoro, fino alla fase della cessazione del rapporto.
Non v’è dubbio che l’adozione dell’Ia rientra nelle scelte imprenditoriali di conduzione dell’impresa e quindi impatta sull’esercizio delle libertà economiche e sul ruolo gerarchico dell’imprenditore (art. 41 cost.; art. 2086 c.c.). È suscettibile di accrescere l’intensità dei tipici poteri datoriali e del committente (art. 2094, art. 2104, 2106, 2103; art. 2222; art. 403 c.p.c.) e, più in generale, le prerogative manageriali e organizzative e, con esse, anche l’asimmetria informativa che connota da sempre il rapporto tra lavoratore e datore di lavoro. Si tratta di libertà, poteri, prerogative che non possono essere annullati o compressi oltremisura, ma che devono piuttosto trovare un giusto bilanciamento con la protezione dei diritti delle persone che lavorano.
È questa la principale sfida che deve affrontare oggi il diritto del lavoro: ricercare nuovi punti di equilibrio e definire adeguati controlimiti all’espansione dei poteri datoriali connessi all’impiego di nuove tecnologie e specialmente dell’Ia. Il legislatore e l’autonomia collettiva devono ricercare nuove tecniche, nuovi equilibri e nuovi bilanciamenti.
In realtà, il legislatore si è già attivato con previsioni che appaiono poco coordinate tra loro e rischiano di determinare più criticità di quante non ne risolvano. In questa fase delicata di approccio a una materia oggettivamente nuova, oltretutto attraversata da fonti normative multilivello, appare prioritario evitare il sovraccarico normativo e piuttosto optare per la definizione chiara di norme di principio e di sostegno, semmai, alla procedimentalizzazione per via sindacale dei poteri datoriali.
Si rischia altrimenti da un lato una iperregolazione e dall’altro lato una iperprocedimentalizzazione dei poteri datoriali che non necessariamente si traducono in un guadagno di tutela o di trasparenza per i lavoratori. Basta guardare alla previsione di cui all’art. 1bis del Dlgs. 152/1997 relativo a “ulteriori obblighi informativi nel caso di utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati”. Una norma il cui campo di applicazione è incerto e prevede un numero eccessivo d'informazioni (oltre tutto complesse e sofisticate) da comunicare ai singoli lavoratori oltre che alle rappresentanze sindacali. Lo spostamento del fulcro informativo a livello individuale potrebbe generare soltanto l’illusione di una maggiore consapevolezza, mentre la storia dimostra come forme d'informazione collettiva sono più efficaci e in grado di rappresentare un presidio più bilanciato rispetto all’espansione dei poteri datoriali.
Molto, in realtà, si può fare lavorando sui principi e le regole già esistenti, procedendo con un'interpretazione evolutiva e con i necessari adattamenti ai nuovi scenari. Basti pensare al principio di non discriminazione e non arbitrarietà nell’esercizio dei poteri, ai principi di buona fede e correttezza contrattuale, alle norme poste a presidio della persona, della dignità, della personalità morale, della salute e sicurezza, della riservatezza e protezione dei dati personali. Si tratta di norme che innervano il nostro diritto del lavoro e che hanno una portata certamente idonea a essere declinata per fronteggiare i rischi insiti nell’adozione delle nuove tecnologie, arginare abusi e prevaricazioni.
È possibile, però, anche mettere a fuoco diritti di nuova generazione che si stanno facendo largo, a dire il vero in modo ancora confuso ed embrionale, a livello nazionale ed europeo a proposito dell’impiego della Ia nell’ambito delle risorse umane. Dalla proposta di regolamento europeo sulla Ia di prossima emanazione emergono principi normativi certamente importanti come, ad esempio, quello dell’antropocentrismo della Ia (l’uomo deve rimanere sempre al centro dell’utilizzo della tecnologia), il principio di trasparenza e spiegabilità dell’algoritmo, il principio della sorveglianza e revisione umana della decisione algoritmica, il principio di responsabilità e affidabilità di chi produce e utilizza l’Ia, il principio di non discriminazione algoritmica e storica, il diritto del lavoratore di esprimere la propria opinione e di contestare la decisione algoritmica. Parte di questi principi, in realtà, sono già inclusi in diverse disposizioni operative a livello nazionale contenute nel Gdpr e nel nuovo art. 1 bis del Dlgs. n. 152/1997 introdotto dal decreto Trasparenza (Dlgs. 104/2022).
Rispetto a questi nuovi principi e diritti, l’autonomia collettiva dovrebbe attivarsi per trovare le giuste forme di specificazione e attuazione concreta nei diversi contesti di lavoro. Rientra a pieno titolo nella responsabilità delle parti collettive sviluppare e declinare i diritti di nuova generazione o reinterpretare principi e criteri di tutela classici del diritto del lavoro, aggiornando anche le tecniche mediante le quali adottare i controlimiti necessari a bilanciare l’esercizio dei poteri e delle prerogative datoriali.
La tecnica della procedimentalizzazione dei poteri datoriali attraverso il controllo sindacale è quella più classica per il diritto del lavoro. Nel caso della Ia, si dovrebbe puntare ad attenuare l’asimmetria informativa, accrescere la trasparenza e la partecipazione, specialmente attraverso l’informazione preventiva e/o successiva ed eventualmente la consultazione sindacale. In alcuni paesi europei si è optato per soluzioni più specifiche, come l’istituzione di una rappresentanza tecnica e specializzata o l’affiancamento delle rappresentanze sindacali con figure esperte dedicate (magari con oneri condivisi o posti a carico del datore di lavoro). Molto efficace, poi, potrebbe rivelarsi la tecnica della adozione di modelli di organizzazione e gestione (Mog) basati sull’approccio organizzativo, già diffuso in campi limitrofi, come quello della salute e sicurezza, della prevenzione dei reati e della privacy.
Inoltre, c'è da chiedersi se effettivamente il controllo ex ante e orientato alla spiegazione del modo di operare della Ia (cioè del 'come fa', attraverso improbabili ispezioni della black box e delle logiche di funzionamento) sia efficace, oppure non sia più opportuno puntare al controllo ex post, cioè alla spiegabilità degli effetti e dell’impatto (cioè del 'cosa fa' la Ia) sulle posizioni giuridiche dei singoli e dei gruppi. Ciò potrebbe essere ottenuto, ad esempio, con obblighi d'informazione periodica, resoconti o rapporti, o anche attraverso un alleggerimento o un’inversione dell’onere della prova non soltanto dell’effetto o del potenziale discriminatorio, ma anche del mero effetto pregiudizievole della decisione algoritmica. Si potrebbe cioè sottoporre a controllo non tanto il modo di operare in sé dell’algoritmo, quanto piuttosto l’output algoritmico e la sua trasformazione 'nell’atto decisionale', imputabile al datore di lavoro o committente.
Silvia Ciucciovino, prorettore Università degli Studi Roma Tre, docente ordinaria di Diritto del Lavoro