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Una tematica da affrontare prioritariamente nell’ambito del Forum sulla transizione digitale è quella del riallineamento delle piattaforme digitali allo Statuto dei lavoratori. Le piattaforme di lavoro digitali si avvalgono di algoritmi per gestire il rapporto di lavoro. Ebbene, in questo caso l’intelligenza meccanica fa in mille pezzi lo Statuto dei lavoratori e i diritti costituzionali. I casi si moltiplicano. L’algoritmo di Deliveroo Italia di fatto finiva per negare al lavoratore il diritto di sciopero, perché in caso di suo esercizio l’algoritmo valutava la sua assenza negativamente, degradandolo nell’assegnazione degli ordini di consegna.
Ciò giustifica uno sforzo di elaborazione da parte della Cgil al fine di riallineare le piattaforme digitali di lavoro allo Statuto dei lavoratori, presumendo la natura subordinata del rapporto di lavoro in linea con l’intuizione della proposta di Direttiva sul lavoro tramite piattaforme digitali (votata il 2 febbraio dalla plenaria del Parlamento europeo).
La Direttiva afferma che la macchina deve essere trasparente, cioè deve dire a chi lavora come sta funzionando, perché questa macchina guarda non solo il momento dell’assunzione, ma anche tutto il momento della gestione del rapporto di lavoro. Tutto il rapporto di lavoro viene automatizzato e allora, giustamente, al prestatore di lavoro vanno riconosciuti una serie di diritti, come individuati dai Capi III e IV della Direttiva.
Ma i sindacati sono i grandi assenti di questa parte della Direttiva. Questa non promuove l’attività sindacale e non consente ai contratti collettivi di disciplinare alcuni aspetti del rapporto di lavoro – come, ad esempio, avviene nel caso della normativa interna sui ciclofattorini urbani (Capo V-bis, d.lgs. n. 81/2015), e non ha una prospettiva di partecipazione ex ante nel processo di disegno dell’algoritmo. Non diversamente dal legislatore nazionale (decreto legislativo 27 giugno 2022, n. 104, di recepimento della Direttiva 2019/1152), il legislatore europeo si limita a riconoscere al singolo e al sindacato un diritto di informazione. Ma essere informati non è sufficiente. Occorrerebbe invece prevedere la partecipazione dell’organizzazione sindacale alla fase di disegno dell’algoritmo, altrimenti la tecnica rischia di sopraffare il prestatore di lavoro.
Si tratta, in ultima analisi, di riaprire il cantiere della Carta dei diritti universali del lavoro del 2016, che si era chiuso con la consapevolezza che occorresse – prima o poi – mettere mano allo “statuto dei diritti digitali della lavoratrice e del lavoratore.
Andrea Allamprese è professore associato di Diritto del lavoro presso l’Università di Modena e Reggio Emilia