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Tutto oggi è digitale e digitalizzato. O se non lo è ancora, lo sarà presto. Questo dice il mantra dell’innovazione tecnologica che non si può e non si deve fermare mai. Un pensiero critico sull’innovazione tecnologica e sul capitalismo (e non solo) sembra essere diventato quindi impossibile, quando invece, come oggi, è sempre più necessario e urgente: dove ci stanno portando infatti il capitalismo, il digitale e la digitalizzazione di tutto? E dobbiamo solo adattarci alle esigenze del sistema produttivo e consumativo, come ci viene richiesto, oggi anche con la parola resilienza; oppure dobbiamo rivendicare il diritto e il dovere, come cittadini oltre che come lavoratori, di poter dire la nostra e di democratizzare (dentro e fuori dai luoghi di lavoro) i processi capitalistici e di innovazione tecnologica, sempre più nella mani di un oligopolio tecno-capitalista antidemocratico per sua natura e finalizzato alla ricerca compulsiva del massimo plusvalore?
E allora, ciò che è fondamentale – soprattutto per chi lavora con il digitale e deve contrattare e governare, ma anche confliggere se necessario con i processi di digitalizzazione - è raggiungere una consapevolezza diffusa su cosa sia il digitale: perché usarlo senza sapere cos’è e come agisce sul lavoro e sulla vita umana significa essere usati dal digitale (e dal capitale) o, detto in altro modo e con parola dimenticata, significa alienarsi nel digitale ma anche da se stessi. Da anni la Cgil sta lavorando intensamente e andando coraggiosamente controcorrente, a costruire questa consapevolezza, oggi anche con il Forum per la transizione digitale. Essere consapevoli significa infatti poter fare un’analisi interdisciplinare critica sul digitale e quindi agire poi, anche sindacalmente, nel particolare come nel generale, con cognizione di causa, analizzando cosa è conoscenza vera e cosa è invece sfruttamento maggiorato, cosa va accettato o modificato e cosa invece va rifiutato del digitale perché disumanizzante e soprattutto alienante. Processi di digitalizzazione che affondano nella prima rivoluzione industriale e che non sono quindi, per noi, un cambio di paradigma ma piuttosto la continuazione del vecchio tecno-capitalismo con altri mezzi (di connessione).
Per cercare di raggiungere questa consapevolezza, serve una cassetta degli attrezzi. Ricordando però in via preliminare che tutta l’organizzazione industriale del lavoro è da sempre basata sulla divisione del lavoro e poi sulla sua integrazione/totalizzazione in una struttura di fabbrica maggiore della semplice somma delle parti prima divise (è la sua legge ferrea) e fatta di organizzazione, comando e controllo/sorveglianza sul lavoro, oggi anch’essi digitalizzati ma sempre escludendo (a questo servono l’organizzazione, il comando e il controllo tecno-capitalistico su produzione e consumo) che le persone possano avere consapevolezza del processo nel suo complesso, vedendone solo dei frammenti tecnologici e organizzativi/gestionali.
Il primo attrezzo da estrarre dalla cassetta è allora per noi la distinzione tra tecnica e tecnologia. Solitamente vengono intese come sinonimi, ma non lo sono. Tecnica è quella che noi definiamo come razionalità strumentale/calcolante-industriale e che predetermina tutti i processi di innovazione tecnologica e l’intera organizzazione capitalistica del lavoro e della vita; tecnologia sono gli strumenti che utilizziamo, dallo smartphone agli algoritmi. Una razionalità strumentale/calcolante-industriale che domina però sia la tecnologia che il capitale/capitalismo/mercato. Tecnologia & capitalismo sono infatti dominati dalla essenza di questa razionalità, cioè l’accrescimento infinito e illimitato del profitto e del mercato (si chiama globalizzazione) per il capitale; e del sistema tecnico per la tecnologia. E le crisi sociali e climatica, tra loro strettamente connesse, nascono proprio da questa (ir)razionalità che ci domina dagli inizi della rivoluzione industriale e che è incapace (per la contraddizione che non lo consente) di porsi dei limiti e di essere responsabile verso il futuro. (Ir)razionalità che definiamo anche con tecno-capitalismo, il sistema integrato e reciprocamente funzionale di tecnologia e capitale.
Secondo attrezzo: il pensiero critico - ad esempio cercare di comprendere se quanto appare come nuovo è veramente nuovo o se invece è solo la digitalizzazione del vecchio.
Terzo attrezzo: comprendere che la razionalità strumentale/calcolante-industriale determina non solo l’accrescimento del sistema tecnico e del capitalismo ma anche e soprattutto la sua azione per farci adattare a essa: dalla fabbrica di spilli alla catena di montaggio e oggi al digitale, dal taylorismo al management e ora alla flessibilità imposta al mercato del lavoro per rispondere alle esigenze delle imprese (e mai a quelle della società, dell’ambiente e del lavoro) - ma pensiamo anche a come le nuove tecnologie hanno trasformato il nostro modo di vivere, comunicare, informarci, socializzare secondo le norme della stessa tecnologia.
Quarto attrezzo: contrattare l’algoritmo, quindi, ma soprattutto contrattare/democratizzare a monte i processi di innovazione tecnologica e i meccanismi della razionalità strumentale/calcolante-industriale – perché l’organizzazione del lavoro è appunto pre-determinata/incorporata nella tecnologia e soprattutto nella tecnica come razionalità strumentale/calcolante-industriale, che a sua volta non è neutra (come la tecnologia) ma ha appunto una sua essenza e quindi è su questa (ir)razionalità che occorre agire e contrattare e soprattutto fare conflitto sociale e ambientale.
Quinto attrezzo (ma in realtà sono tutte parti di un unico attrezzo chiamato consapevolezza): recuperare i concetti e poi denunciare e confliggere ancora di più contro tutte le pratiche di sfruttamento, sussunzione e di alienazione (e la delega alla tecnica, cioè agli algoritmi/IA/machine learning è la massima forma di alienazione), ricordando che le piattaforme sono solo la nuova forma della vecchia fabbrica.
Sesto: rivendicare il diritto/dovere alla privacy e alla disconnessione, immaginando di vietare ex ante tutte le forme di profilazione industriale e commerciale.
Settimo: rivendicare riduzioni di orario di lavoro a parità di salario, ma ricordando che la tecnologia e il capitale tendono sempre più, per loro essenza, a estendere e a intensificare i tempi-ciclo di produzione e di consumo – con-fondendo sempre più lavoro/consumo e vita.
Ottavo attrezzo: analizzare i processi di digitalizzazione nei loro effetti pericolosissimi su democrazia e libertà.
Nono – ma sarebbe il primo: porci un problema di responsabilità verso la Terra e le future generazioni in termini di sostenibilità ambientale. Anche o soprattutto verificando quanto e come la transizione digitale possa essere utile - o non sia piuttosto radicalmente insostenibile, essendo appunto tecno-capitalismo - per arrivare alla transizione ecologica. Cioè a un modello di sviluppo radicalmente diverso.
Lelio Demichelis, sociologo, docente di Sociologia economica all’Università degli Studi dell’Insubria