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Pubblichiamo un estratto da Valerio Strinati, La Costituzione e il lavoro, supplemento a «Rassegna Sindacale», novembre 2009 (qui il PDF della guida integrale).
Anche alla luce delle disposizioni sull’ordinamento dello Stato, appare evidente che la democrazia concepita dal legislatore costituente risponde a un modello tipico, connotato dal pluralismo, dal suffragio universale, dalla separazione dei poteri, dalla responsabilità dell’esecutivo verso il legislativo, dall’indipendenza della magistratura, dalla garanzia delle autonomie sociali, territoriali e dei privati. Al tempo stesso è chiaro che essa non è indifferente all’assetto reale della società, poiché il riferimento al lavoro qualifica il progetto istituzionale nel senso di un più marcato contenuto sociale ed egualitario, e ne definisce i valori direttivi nella sfera dei rapporti tra le classi (Mortati, 1954). In tale prospettiva, risulta corrispettivamente ridimensionata la posizione assunta dal diritto di proprietà e dall’iniziativa privata: nel riconoscerli (art. 41), la Costituzione pone infatti condizioni e limiti al loro esercizio che sarebbero stati impensabili in un sistema liberale “classico”, nel quale l’assioma della non interferenza dello Stato sull’autonomia dei privati portava a considerare intangibili la proprietà e la libertà dei mercati.
L’operazione del legislatore costituente è andata quindi nel senso di riequilibrare il rapporto tra i diversi fattori della produzione e pertanto tra i soggetti sociali che ne costituiscono l’incarnazione. Ne è derivata la definizione di un rapporto gerarchico tra interessi contrastanti che, tradotto in regole di rango costituzionale, non poteva non basarsi sul compromesso e sulla mediazione, dato l’intento comune a tutte le componenti dell’Assemblea Costituente di dare vita a un sistema effettivamente pluralista. Sarebbe tuttavia fuorviante pensare a tale compromesso come a un astratto dosaggio di formule e princìpi: esso fu in realtà la risultante di un equilibrio storicamente determinato tra concreti soggetti politici e sociali, a ciascuno dei quali, anche in una logica di reciproca garanzia, venne attribuito uno “spazio costituzionale” caratterizzato da diritti e doveri, da opportunità e limitazioni (Smuraglia, 1958).
In tale contesto, la “costituzionalizzazione del lavoro” si realizzò lungo percorsi implicanti il superamento di asimmetrie e squilibri che avevano costituito la base materiale dell’esclusione delle classi lavoratrici dalla direzione della vita pubblica, e la definizione di regole idonee a rispecchiare gli equilibri scaturiti dalla guerra e dalla Resistenza. Nell’Assemblea Costituente non solo i partiti di ispirazione marxista, ma anche quelli liberaldemocratici o cattolici riconobbero il ruolo decisivo delle classi lavoratrici nella sconfitta del nazifascismo e, insieme, l’esigenza di informare la vita pubblica del paese a princìpi di profondo rinnovamento democratico, anche nella consapevolezza delle responsabilità e delle connivenze dei potentati economici nella soppressione delle libertà e nel sostegno alla dittatura.
Per comprendere l’esatto significato della connotazione di classe della Costituzione occorre considerare che se da un lato le enunciazioni dei princìpi fondamentali esprimono anche (ma non solo) il nuovo ruolo storico assunto dalle forze del lavoro, nonché una più marcata influenza del pensiero marxista (Giannini, 1948), d’altro canto il fondamento della Repubblica sul lavoro va letto alla luce del principio di eguaglianza e pari dignità di tutti i cittadini, senza distinzioni anche relativamente alla posizione sociale (art. 3, 1° comma), che esclude l’affermazione di una posizione privilegiata di una determinata classe nell’esercizio dei diritti politici e civili. Come risulta chiaramente dai dibattiti all’Assemblea Costituente, con le disposizioni di apertura della Costituzione si intese, piuttosto, porre le basi giuridiche affinché la assoluta preminenza dei ceti proprietari dei mezzi di produzione e di scambio venisse controbilanciata (Smuraglia,1958) e alle classi lavoratrici fosse aperta la strada alla partecipazione effettiva alla direzione del paese, dando in tal modo concretezza alla prospettiva di una democrazia socialmente avanzata.