Un numero ricco e di grandissima attualità. Questa la sintesi più efficace per descrivere il volume appena pubblicato da Futura editrice della Rivista delle politiche sociali. Si occupa, infatti, di sanità e di salute pubblica, scegliendo un punto di osservazione specifico e dirimente: le lavoratrici e i lavoratori. Cercando di analizzare un fenomeno  iniziato prima del Covid ma che, dopo la pandemia, ha subìto un’accelerazione fortissima: quello delle “grandi dimissioni” dal sistema pubblico.

Fenomeno che se non fermato, anzi se non si riesce ad innescare una inversione di tendenza, mette seriamente a rischio il futuro del Servizio sanitario nazionale, già reso notevolmente più fragile.

Il titolo del volume (Quo Vadis? Il lavoro nel sistema sanitario italiano tra pubblico e privato), scelto dai curatori Ugo Ascoli, già ordinario di Sociologia all’Università delle Marche, e Giovanna Vicarelli, ordinaria di Sociologia economica presso la Facoltà di Economia “E. Fuà” dell’Università politecnica delle Marche (e direttrice scientifica del Centro di ricerca interdipartimentale sull’integrazione sociosanitaria), evoca contemporaneamente una direzione di marcia e una preoccupazione. 

La direzione di marcia è “guardare” al lavoro nel Ssn, mentre la preoccupazione è che il fenomeno delle “grandi dimissioni”, ormai purtroppo conclamato, sia poco considerato nel predisporre le politiche pubbliche a cominciare dai rinnovi contrattuali. L’analisi è chiara, meno cosa fare.

Scrivono infatti i curatori del numero: “Con l’espandersi delle politiche neoliberiste e del New public management (Npm), le professioni mediche hanno conosciuto una crisi strisciante derivante tanto dall’aziendalizzazione del Ssn e dal prevalere di logiche manageriali su quelle cliniche”. Condizioni di lavoro sempre più “faticose” a causa sia della carenza di personale dovuta a oltre 10 anni di blocco del turn over, e alla mancata sostituzione di chi volontariamente se ne è andato, ma anche della flessibilizzazione e precarizzazione del lavoro nel Ssn, spingono chi c’è ad andar via, verso il privato o verso paesi stranieri.

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Ivana Fellini insegna Sociologia del lavoro presso il dipartimento di Sociologia e ricerca sociale dell’Università di Milano-Bicocca. È lei che ha dimostra in questo volume come l’Italia si confermi un Paese caratterizzato da un grave sottodimensionamento degli occupati in sanità e welfare. E a farne le spese sono lavoratori, lavoratrici e gli utenti dei servizi. Elena Spina (che insegna Sociologia economica presso la Facoltà di Economia dell’Università politecnica delle Marche), affronta il tema delle “grandi dimissioni” del personale della sanità pubblica dimostrando come solo parzialmente la “colpa” di tale fenomeno sia da attribuire al Covid. “La pandemia – scrive l’autrice – avrebbe in realtà soltanto esasperato una tendenza alla svalorizzazione del personale che avrebbe preso avvio dal 2008 a seguito delle politiche dei tagli. Demotivati e stanchi, gli operatori del Ssn stanno continuando ad abbandonare il loro lavoro in cerca di condizioni più dignitose che trovano nel settore privato o all’estero. In particolare, sarebbero le donne e i più giovani ad andarsene, privando il Ssn di forze sempre più indispensabili vista l’aumentata domanda di cure”.

Pronto Soccorso in crisi

È cosa nota che i punti di maggior sofferenza del Ssn sono i dipartimenti di emergenza e urgenza. Enrico Maria Piras, ricercatore presso la Fondazione Bruno Kessler di Trento, accende i riflettori su due Pronto Soccorso, uno del Nord e uno del Centro, per scoprire - o confermare - che sofferenze e criticità sono simili.

In estrema sintesi si può affermare che i Pronto Soccorso si trovano a sopperire alle carenze e ai limiti dei servizi sociali, dei servizi socio-assistenziali e della sanità di territorio. E per di più rappresentano la vera porta di accesso universalistica – insieme ai medici di medicina generale – al Sistema sanitario nazionale, assolvendo però a compiti che dovrebbero essere di altri soggetti del Ssn.

In questo modo sottoponendo però il personale a uno stress tale che non solo da lì si fugge, ma non vi ci si vuole nemmeno andare, e questo spiega perché la maggior parte delle borse di specializzazione in medicina di emergenza e urgenza vadano deserte.

Il caso dei lavoratori e delle lavoratrici delle Rsa

Sul lavoro professionale di cura, che riguarda gli operatori sociosanitari e assistenziali (con esclusione, quindi, degli infermieri), si concentrano le analisi di Marco Arlotti (docente di Sociologia dei processi economici e del lavoro presso il dipartimento di Scienze economiche e sociali dell’Università politecnica delle Marche; Luigi Bernardi (ricercatore quantitativo e consulente per università ed enti di ricerca pubblici e privati); Mariateresa Ciommi (docente di Statistica economica presso il dipartimento di Scienze economiche e sociali dell’Università politecnica delle Marche e Ludovica Rossotti (assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze economiche e sociali dell’Università politecnica delle Marche.

E cosa si scopre? Che nonostante il nostro sia un paese “anziano” non c’è grande attenzione a questo tema. Gli autori del saggio attestano che “il numero di occupati nelle residenze rapportati alla popolazione anziana in Italia varia da uno scarto di circa 4-5 volte inferiore rispetto a quanto si registra nei paesi scandinavi, e di circa 2 volte più basso nel confronto con i paesi continentali, la Spagna e la media Eu-27”.

Se vogliamo rimanere ai numeri scopriamo che questo tipo di assistenza è svolta prevalente da donne (85%) e da immigrati e immigrate (21%). C’è poi un elemento che i curatori del volume Ascoli e Vicarelli mettono in risalto: “L’offerta pubblica di tali servizi si è ridotta nell’ultimo decennio. Siamo così passati dall’universalismo nell’accesso ai Ps a quello che viene definito un universalismo incompiuto dei servizi residenziali per anziani”.

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Prevenzione, cura, riabilitazione forniti da un servizio sanitario pubblico e universalistico. Quanto rimane di questi principi fondati? Certo è, come illustrano Luisa De Vita (che insegna Sociologia economica presso il dipartimento di Scienze sociali ed economiche della Sapienza, Università di Roma), e Orazio Giancola (dipartimento di Scienze sociali ed economiche della Sapienza Università di Roma), i servizi di riabilitazione, colpiti da processi di esternalizzazione, sono per molta parte erogati da privati e terzo settore. Con un fenomeno particolare, quello del lavoro autonomo, che spesso però nasconde altro. “Spesso – scrivono gli autori - non appare facile distinguere quello vero dal lavoro dipendente mascherato da autonomo”. E, come è facile intuire lavorare per il pubblico o per il privato non è affatto la stessa cosa, a cominciare dai contratti che vengono applicati.

Ovviamente per creare condizioni di lavoro dignitose e sicure l’ambiente di lavoro è determinato. A questo tema dedicano il proprio saggio Francesca Dinelli, medica specialista in Igiene e Medicina preventiva, e Marco Geddes (medico epidemiologo ed esperto di sanità pubblica), che sottolineano come l’ambiente di lavoro contribuisca a rendere meno gravosa e più sicura l’attività degli operatori; a facilitare i rapporti personali all’interno dell’équipe e con i pazienti; a favorire l’empatia con colleghi e con gli utenti; a ridurre la fatica fisica e psicologica emotiva.

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Serena Sorrentino, segretaria generale della Fp Cgil, nel saggio conclusivo della monografia, pone l’accento su quanto sia stato, e ancora sia, il lavoro di medici, personale infermieristico e delle diverse professioni sanitaria a garantire la tenuta del sistema. Ma, sottolinea la dirigente sindacale, “oggi si evidenziano disuguaglianze di genere nei ruoli dirigenziali e retributivi, oltre a un’inadeguatezza del sistema contrattuale, che penalizza l’evoluzione professionale e la multidisciplinarità. La frammentazione tra pubblico e privato, con salari e condizioni diseguali, amplifica il problema. È urgente ripensare il modello sanitario: non più basato sulla prestazione ma sugli esiti di salute, con un approccio integrato che valorizzi il lavoro come pilastro del sistema”.

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