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Pensioni dei dipendenti pubblici: la legge di bilancio del 2025 ha confermato i tagli del 2024, cancellando di fatto la possibilità per tantissimi tra lavoratori e lavoratrici di lasciare il lavoro anticipatamente. Un’ingiustizia rispetto alla quale la Cgil e le sue categorie vogliono avviare un
contenzioso.
Ma andiamo con ordine: lo scorso anno, appunto, il governo ha introdotto una revisione peggiorativa delle aliquote di rendimento pensionistico per alcune importanti gestioni previdenziali: enti locali (Cpdel), sanitari (Cps), insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate (Cpi), ufficiali giudiziari, aiutanti ufficiali giudiziari e coadiutori (Cpug). Questi tagli sono applicabili ai pensionamenti anticipati dal 1° gennaio 2024, con impatti potenzialmente rilevanti sulla quota retributiva di pensione per chi ha meno di 15 anni di contribuzione nel sistema retributivo.
Si stima che nel 2043 saranno penalizzate oltre 730 mila persone per complessivi 33 miliardi a regime: ancora una volta, in sostanza, si fa cassa sulle pensioni. Come denunciano in una nota Cgil, Fp, Flc e Spi, nonostante alcune deroghe, “la misura produce effetti retroattivi e discriminatori nei confronti di molti lavoratori ancora in servizio, i quali avevano fondato le proprie legittime aspettative pensionistiche su un quadro normativo differente e più favorevole”.


Come se non bastasse, l’ultima legge di bilancio ha innalzato a 67 anni tutti i limiti ordinamentali nel pubblico impiego, con ricadute significative su un’ampia platea di lavoratrici e lavoratori iscritti alle gestioni previdenziali sopra indicate. Di conseguenza viene posticipata la data del pensionamento e il pagamento della buonuscita - che già subisce ritardi pesantissimi – e, chi andrà in pensione prima di tale soglia, sarà soggetto all’applicazione delle nuove aliquote di rendimento, con una riduzione sensibile della quota retributiva della pensione.
In conclusione, secondo stime dell’Ufficio previdenza della Cgil, questa revisione delle aliquote sulle pensioni anticipate potrà determinare tagli importanti sulla quota retributiva di pensione fino a raggiungere il 20%.


Non bisogna però scoraggiarsi. Come detto esiste la concreta possibilità di avviare un contenzioso. La nuova norma, infatti, interviene in senso peggiorativo sul calcolo di periodi assicurativi già acquisiti nel patrimonio contributivo degli assicurati e con una precisa collocazione temporale. In sostanza questa norma ha effetti retroattivi rispetto a diritti già acquisiti e che, prima del 2024, erano stati rispettati da altre norme che erano intervenute sul tema delle aliquote come la legge 724/1994 e altri successivi interventi. Tutto questo, appunto, fino alla legge di bilancio del 2024 (l. 213/2023) che ha stravolto
questo principio.
Esiste un dubbio profilo di costituzionalità, perché se è vero che la Consulta ha sempre riconosciuto che il legislatore può intervenire anche in senso sfavorevole su questi capitoli, ha tuttavia posto limiti precisi a questa facoltà. In particolare, nelle sentenze n. 349/1985, n. 822/1988, n. 573/1990, n. 390/1995, n. 426/2002 si legge: “Unica condizione essenziale è che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto”.
In parole più semplici, non si possono frustrare le aspettative e i progetti di vita di cittadini e cittadine maturate nel corso di tanti anni di lavoro, e sulla base di leggi dello Stato. Cosa fare dunque? Chi si trova in questa situazione dovrebbe rivolgersi a una sede della Cgil per verificare la propria posizione contributiva e, se necessario, valutare l’attivazione di un ricorso o persino un contenzioso legale, con l’obiettivo di vedere riconosciuti i propri diritti.
Ma la battaglia è anche politica. Il 14, 15 e 16 aprile si vota per il rinnovo delle Rsu in tutti i comparti del lavoro pubblico: Sostenere i candidati della Fp e della Flc Cgil significa rafforzare un’azione sindacale che, partendo da luoghi di lavoro, si impegna concretamente a modificare norme ingiuste e a difendere i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.