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La buona notizia è che a Roma, per l’anno scolastico 2023/2024, le famiglie con un Isee di prima fascia hanno accesso gratuito ai nidi comunali capitolini, e quelle in seconda pagano un contributo minimo di 50 euro. Quella cattiva è che mancano i soldi per garantire a quasi 13 mila bambini iscritti e alle loro famiglie un servizio educativo di qualità. È stato subito chiaro ai genitori, alla riapertura delle scuole a settembre, che sarebbe stato meglio fare come le formiche, e mettere da parte qualche giorno di ferie estive per i mesi autunnali. Le famiglie si sono ritrovate da subito nel caos e con orari ridotti, molto di più e molto più a lungo di quanto normalmente giustificato dalla fase dei cosiddetti “inserimenti” dei bimbi che rientrano e dei nuovi arrivati. Ma cosa è successo? Se lo sono chiesto in molti, percependo una condizione di disagio crescente che ha inciso sull’organizzazione familiare e lavorativa di centinaia di persone.
LE RISORSE CHE MANCANO
“Dopo aver ignorato per mesi le nostre richieste di incontro sulla garanzia della tenuta economica per la gestione dei servizi alla prima infanzia - spiega Carmen Morgia, Fp Cgil Roma e Lazio - l’amministrazione si è resa conto ad inizio anno educativo e scolastico di non avere le risorse economiche sufficienti”. La Cgil aveva già esplicitato preoccupazione nel corso dell’anno precedente e non aveva sottoscritto un accordo che - commenta Morgia - “ha come unico effetto un’oggettiva disorganizzazione gestionale dei servizi educativi e scolastici, che da un lato incide negativamente e pesantemente sui carichi di lavoro del personale, mentre dall’altro non garantisce la qualità dell’offerta educativa e la continuità nell’erogazione di questi servizi”.
Mancano le sostituzioni e, cosa ancor più grave, mancano le figure professionali necessarie a garantire un adeguato supporto per l’inclusione delle bambine e dei bambini con disabilità. I piccoli che necessitano di un sostegno non sono aumentati in numero assoluto, ma è giustamente cresciuta la sensibilità verso problemi che, se diagnosticati e seguiti in età precoce, possono garantire ai bimbi che ne soffrono un presente fatto di esperienze gratificanti e un futuro di inclusione. Un segno di civiltà, che la carenza di risorse rischia di depotenziare considerevolmente.
“Cerchiamo di arrivare intanto fino a Natale” si lascia sfuggire, sollecitato dai genitori, il presidente di uno dei quindici municipi romani. E infatti la logica, al momento, sembra proprio essere quella del panettone: il tentativo di risparmiare tutto il possibile, a fronte di risorse che – ribadisce l’amministrazione comunale – sono esaurite. Ma esaurito, in queste settimane, sembra un intero sistema: genitori, educatrici, bambini. Innanzitutto perché non viene garantita la copertura totale del servizio, né in termini di orari né di adeguatezza delle attività di cura.
TANTI BAMBINI, POCHI EDUCATORI
Educatrici e sindacato denunciano una rincorsa ormai costante a quella che dovrebbe essere un’eccezione: il “fuori rapporto”, espressione non proprio felice per indicare che i bambini sono troppi e gli adulti che se ne occupano, troppo pochi. La legge regionale stabilisce, infatti, che non si possa eccedere il rapporto di un educatore ogni sette bambini se si vuole garantire continuità e qualità dell’offerta educativa. Il rapporto è calcolato al livello dell’intera struttura, non della singola classe e questo, secondo alcuni genitori, potrebbe essere uno dei vincoli che impediscono di uscire, molto spesso, da una situazione di impasse.
Per esempio quando, a fronte di un numero ridotto di personale, ci si ritrova in coda sin dalle prime luci dell’alba, passeggino contro passeggino, nel tentativo disperato di rientrare nella famigerata proporzione dell’uno a sette, lasciare il proprio figlio al nido ed andare al lavoro. “Alcuni rinunciano in partenza- scherza una mamma- altri ci provano fino all’ultimo. E se va male, non ci resta che il giorno di ferie o il congedo parentale”.
Oltre ogni limite
Ma ad essere compromesse non sono solo l’attività lavorativa e la possibilità di conciliazione di intere famiglie. Lo sono anche e soprattutto la sicurezza e il benessere dei bambini e, non da ultima, la salute psicofisica degli educatori. Una professione che è prima di tutto una vocazione, in cui il rischio di burn out è messo a dura prova da un sistema in cui il personale è costretto di continuo a posticipare o anticipare con urgenza il proprio turno di lavoro, perché il “fuori rapporto” non si sa se e quando arriverà. “Lo spirito di abnegazione e il senso di responsabilità di tutto il personale educativo e scolastico non basta più a sopperire alle carenze gestionali di questa amministrazione - prosegue Carmen Morgia - riceviamo segnalazioni continue su rapporti educatore/bambini ben oltre il limite imposto dalle norme”.
Nella pratica, questo vuol dire neonati anche di pochi mesi costantemente spostati come da una sezione all'altra e personale in continuo affanno. Educatrici ed educatori che devono arrivare alla fine della giornata, in classi con oltre venticinque piccoli che rischiano di diventare dei parcheggi, perché in queste condizioni le attività non possono partire. E allora addio ai laboratori sensoriali, alle esplorazioni cognitive, alla musica e al teatro, se l’obiettivo non è più educare, ma diventa sopravvivere. Se una maestra deve badare da sola a più di sette bambini che corrono, si contendono i giochi, si scambiano i ciucci. L’asilo nido dovrebbe essere il posto più sicuro del mondo, dopo le braccia della mamma e del papà. Ma così, rischia di diventare un luogo ingestibile per tutti.
LA PROTESTA
Per questo motivo la Fp e la Cgil Roma e Lazio stanno preparando per le prossime settimane un’iniziativa in piazza del Campidoglio. “Ci aspettiamo una grande partecipazione non solo del personale educativo e scolastico - conclude Morgia - ma anche delle famiglie. Insieme, abbiamo il dovere di rivendicare la salvaguardia delle condizioni di lavoro dignitose e il diritto delle bambine e dei bambini ad un percorso pedagogico di qualità”.