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La protesta dei pensionati per la manovra finanziaria del governo, che ha bloccato la rivalutazione degli assegni superiori ai 1.500 euro lordi mensili, non si ferma. Dopo la mobilitazione del 28 dicembre scorso, che ha vinto scendere nelle piazze di tutta Italia migliaia di persone, con l’inizio del nuovo anno le dimostrazioni riprendono in numerose province. Spi Cgil, Fnp Cisl e Uilp Uil manifestano oggi (giovedì 3 gennaio) ad Agrigento, Alessandria, Asti, Biella, Cuneo, Grosseto, Novara e Verbano-Cusio-Ossola, mentre venerdì 4 gennaio sono previsti presìdi davanti alle Prefetture di Caltanissetta, Caserta, Lucca, Messina, Piacenza, Ravenna, Rimini, Torino e Trapani. Lunedì 7 gennaio scenderanno in piazza i pensionati di Pescara, mentre martedì 8 sarà il turno di quelli di Bergamo e L'Aquila.
“Ci stanno derubando e siamo molto arrabbiati”, spiega il segretario dello Spi Cgil Ivan Pedretti: “Non siamo il bancomat che fornisce al governo i soldi per i suoi giochini di prestigio. È una decisione scellerata e insopportabile perché ancora una volta si mettono le mani nelle tasche di chi ha lavorato duramente per una vita, facendogli pagare il conto della manovra economica”. Pedretti evidenzia anche come il provvedimento sia “un clamoroso passo indietro rispetto agli impegni assunti dal precedente esecutivo, che aveva stabilito il ritorno dal 1° gennaio 2019 a un meccanismo di rivalutazione che fosse in grado di tutelare il potere d'acquisto dei pensionati italiani”.
Dopo dieci anni di rivalutazione bloccata, anche il nuovo governo ha dunque deciso di togliere soldi ai pensionati. Dal nuovo sistema di riduzione della perequazione per gli assegni superiori a tre volte il minimo (1.522 euro lordi mese nel 2018) e dal prelievo straordinario di solidarietà per quelle sopra i 100 mila euro lordi annui, l’esecutivo conta di ricavare 2,5 miliardi per finanziare le altre misure promesse, in primis il reddito di cittadinanza. Per le pensioni questo può comportare una perdita da 65 a 325 euro lordi all’anno, a partire dal 2019 e per il resto della vita del pensionato.
Pedretti evidenzia anche che nella manovra non c’è alcuna riforma della legge Fornero. “Con quota 100 si accontenta un pezzo del mondo del lavoro, ma si discriminano le donne, i lavoratori agricoli, del commercio e dell'edilizia. Sono esclusi da quota 100 proprio quelli che hanno una carriera discontinua”, spiega il segretario generale dello Spi Cgil: “Quota 100 è una misura che viene finanziata togliendo risorse ad altri pensionati, che hanno sempre pagato tasse e contributi, e senza colpire chi evade il fisco. Non mi pare una grande invenzione degna di un governo di vero cambiamento, ma piuttosto un vecchio trucco copiato da altri governi”.
Il dirigente sindacale punta il dito contro il blocco della rivalutazione. “Tre volte il minimo significa 1.500 euro lordi al mese, ovvero 1.200 euro netti. Fino a cinque volte significa 3 mila euro lordi, ovvero un assegno di 2.400-2.500 netti al mese. Non parliamo di pensioni d'oro, bensì di pensioni medie, di persone che già sono state impoverite e lo saranno ancora di più”, commenta l’esponente sindacale, rimarcando che “il blocco della rivalutazione fu introdotto nel 2011 da Monti, e oggi viene ribadito dal governo Lega-Cinque stelle”. Pedretti, in conclusione, sottolinea che “con l'accordo del 2016 avevamo riconquistato il meccanismo del 2000 di rivalutazione, più equo. Dunque c'è un netto peggioramento della situazione. Un pensionato perde oggi a causa del blocco della rivalutazione, ma perde anche per il futuro, perché considerando l'aspettativa di vita e l'inflazione vede ridursi il potere d'acquisto della sua pensione”.