Lunedì 3 giugno, a 5 giorni dall’apertura dei seggi elettorali per le Europee, andrà in Consiglio dei ministri – questo l’annuncio – un decreto per snellire le liste di attesa in sanità. Da giorni circola una bozza del testo che una volta pubblicato in Gazzetta Ufficiale entrerà immediatamente in vigore, il Parlamento avrà poi 60 giorni di tempo per convertirlo in legge, nel frattempo avrà già dispiegato tutti i suoi effetti, nefasti per lo più.

Se, infatti, è cosa buona giusta velocizzare l’erogazione delle prestazioni sanitarie, dagli accertamenti strumentali alle visite di medici specialisti, è assai sbagliato utilizzare il bisogno di salute di cittadini e cittadine per spostare consenso politico e risorse – già scarse – dalla sanità pubblica a quella privata. Questo è il reale obiettivo del testo normativo.

Prima di tutto conoscere

Conoscere è certamente un buon proposito, e allora la decisione di dare vita alla Piattaforma nazionale delle Liste di Attesa con l’obiettivo, tra l’altro, di: “misurazione delle prestazioni in lista di attesa sul territorio nazionale; disponibilità di agende sia per il sistema pubblico che per gli erogatori privati accreditati; verifica del rispetto del divieto di sospensione delle attività di prenotazione; modulazione dei tempi di attesa in relazione alle classi di priorità; produttività con tasso di saturazione delle risorse umane e tecnologiche” è positiva, così come positiva è l’istituzione dell’Osservatorio sulle liste di attesa che riceverà, anche, le segnalazioni dei disservizi. La domanda che rimane senza risposta è: questi strumenti funzioneranno davvero? A quali fini saranno utilizzati? O sono specchietti per le allodole?

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Sanità pubblica al bivio

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Il sistema unico di prenotazione

Il decreto prevede che le singole regioni istituiscono un Centro Unico di Prenotazione (Cup) a cui devono afferire le agende sia delle aziende sanitarie pubbliche che di quelle del privato accreditato, gli operatori del Cup, a seconda delle disponibilità delle strutture e dei criteri di priorità apposti dal medico di medicina generale sulle richieste di prestazioni, fisseranno gli appuntamenti. Peccato che questa norma esista già e, proprio nelle Regioni con il maggior numero di strutture di privato accreditato come Lombardia e Lazio, i Cup non riescano ad accedere a tutte le agende. Nella bozza di decreto non vi è traccia del come raggiungere questo necessario obiettivo, il rischio è che continuino ad essere belle parole inattuate.

I soldi ai privati

L’articolo 1 della bozza del decreto stila, in linguaggio leguleio, non solo i diritti dei cittadini ma anche il fatto che se al momento della prenotazione richiesta dal medico prescrittore non sia possibile rispettare i tempi previsti né nel pubblico né nel privato accreditato, il cittadino potrà richiedere la prestazione al privato autorizzato (che così acquisirà crediti), pagarla e poi verrà rimborsato. Con quali procedure e con quali tempi non si sa, tutto viene rimandato ad un ulteriore decreto. Domanda: quei 4 milioni di cittadini e cittadine che oggi rinunciano a prestazioni perché non dispongono delle risorse per accedere al privato, continueranno a non essere in grado di pagare e quindi continueranno a non potere accedere al diritto alla salute? Inoltre, è evidente che una procedura del genere sposterebbe verso il privato risorse pubbliche.

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Ancora soldi ai privati indebolendo la struttura pubblica

Per di più, sempre con l’obiettivo di ridurre le liste di attesa, la norma che arriverà in CdM lunedì prevede un ulteriore aumento delle risorse che possono essere utilizzate per “acquistare” prestazioni dal privato accreditato. Il tetto di spesa previsto, infatti, viene aumentato di un ulteriore 1% l’anno dal 2024 e per i due anni successivi, tradotto: sono 123 milioni l’anno da sommarsi ai 502 milioni già previsti dall’ultima manovra. Risultato? Circa un miliardo aggiuntivo in tre anni ai privati.

E non finisce qui

Viene, infatti, aumentato anche il tetto di spesa che le Regioni posso destinare a contratti libero professionali (cioè pagando prestazioni in regime privatistico) da stipulare con medici specializzandi che quindi in parte opererebbero attraverso il Ssn e in parte pagati dal Ssn ma per “acquistare” prestazioni. Certo il testo prevede anche che, al fine di abbattere le liste di attesa, gli accertamenti diagnostici possano essere erogati anche di sabato, domenica o in orario serale. Giustissimo, ma medici, infermieri e tecnici sanitari negli ospedali pubblici hanno così tanto tempo libero? Non sono già sottoposti a turni massacranti, che è poi una delle ragioni della fuga di operatori sanitari da ospedali e strutture pubbliche?

E poi le farmacie

Sarà certamente un caso e nulla ha a che fare con il fatto che sia il responsabile sanità di Forza Italia Andrea Mandelli, che quello di Fratelli di Italia Marcello Gemmato, siano prima di tutto farmacisti, sta di fatto che il decreto conferisce alle farmacie (soggetti privati) la possibilità di somministrare ed erogare prestazioni sanitarie e diagnostiche fino ad ora di competenza medica e di ambulatori di analisi.

 daniela barbaresi

Conclusione amara

L’articolo del Decreto sulle coperture di spesa è quello, almeno nella bozza che abbiamo visto, ancora non scritto. C’è un punto del decreto però che è molto chiaro: per l’abbattimento delle liste di attesa non vi è e non vi sarà uno stanziamento di risorse aggiuntive a favore del Fondo sanitario. Quindi le risorse in più destinate ai privati vanno attinte da quelle che oggi sono destinate al funzionamento del Ssn. “Appare evidente – commenta Daniela Barbaresi, segretaria confederale della Cgil - che i soldi destinati alla sanità pubblica si dovranno spostare su quella privata. E così facendo l’impoverimento e lo svuotamento del pubblico e la privatizzazione della sanità procederà a passo di marcia”. E aggiunge la dirigente sindacale: “Non siamo affatto d’accordo, continueremo a batterci per impedire il restringimento del perimetro pubblico, per finanziamenti aggiuntivi consistenti e duraturi al Fondo Sanitario, per il rilancio del Servizio sanitario pubblico e universale”.

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