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Manovra di bilancio in dirittura d'arrivo, ma degli impegni assunti dal governo sulle modifiche in tema previdenziale "non si vede traccia". Durissimo il giudizio del segretario confederale Cgil Christian Ferrari: "Sulla rivalutazione delle pensioni il taglio continua a essere pesante: 3,5 miliardi in meno nel solo 2023, 17 miliardi in meno nel triennio. La rimodulazione della percentuale di rivalutazione, che alza dall’80% all’85% le pensioni tra 4 e 5 volte il trattamento minimo, è insignificante: otto euro lorde al mese in più di media"
E si riduce ancora del 3% la percentuale per i redditi di pensioni superiori a cinque volte il trattamento minimo. "Stiamo parlando - riprende Ferrari - non della pensione dei ricchi, come ha sostenuto la presidente del Consiglio, ma degli assegni d'impiegati e operai specializzati che hanno lavorato e versato contributi per 40 e più anni".
Su Opzione donna, nessun cambiamento. "Un’abrogazione, di fatto, della misura. Riguarderà appena 870 persone, secondo le nostre analisi", spiega il segretario confederale Cgil: "Nessuna marcia indietro neppure su 'quota 103"' cui si accede con almeno 62 anni. Altro che 'quota 41', che doveva prescindere dall'età anagrafica. I pochi che vi accederanno supereranno a stento le 10 mila unità".
Secondo Ferrari "le cattive sorprese non sono finite: hanno deciso di tagliare di 80 milioni di euro le risorse per i lavoratori "precoci" e abrogato il fondo per l'uscita anticipata nelle Pmi in crisi, recuperando ulteriori 200 milioni di euro. Altro che potenziamento delle misure, altro che superamento della legge Fornero, che invece torna in vigore per la quasi totalità delle lavoratrici e dei lavoratori".
"Il nostro giudizio - prosegue il sindacalista - è radicalmente negativo. Non c'è nessuna promessa elettorale rispettata in queste scelte. Sulle pensioni si fa cassa e nulla più, lasciando senza risposte donne, giovani, lavoratori precoci e chi svolge un lavoro gravoso. A loro si sottraggono risorse, anziché sostenerli".
Per Ferrari "siamo ben lontani da quello che servirebbe: una vera riforma del nostro impianto pensionistico, attraverso l’uscita flessibile a partire dai 62 anni, il riconoscimento della diversa gravosità dei lavori, la pensione di garanzia per i giovani e per chi ha carriere discontinue e povere, il riconoscimento del lavoro di cura e della differenza di genere, l’uscita con 41 anni di contributi senza limiti di età".
Anche per questo, "insieme alla Uil, ci siamo mobilitati e abbiamo scioperato. Siamo rimasti inascoltati, ma - conclude il segretario confederale della Cgil - continueremo a batterci, e al tavolo del 19 gennaio con il governo andremo con la chiarezza delle nostre posizioni".