Pensioni: tornano gli esodati. Ancora una sorpresa amara per tante lavoratrici e lavoratori penalizzati dalle (non) politiche del governo che tratta la previdenza come una fonte da cui attingere a mani basse per fare cassa. Oltre 44 mila lavoratrici e lavoratori, che hanno aderito negli ultimi anni a misure di uscita anticipata, per effetto dell’adeguamento automatico dei requisiti pensionistici alla speranza di vita rischiano di ritrovarsi dal 1° gennaio 2027 senza reddito e senza contribuzione.

È quanto emerge dall’ultima analisi dell’Osservatorio previdenza della Cgil nazionale. Come spiega, il responsabile delle Politiche previdenziali della Confederazione, Ezio Cigna,“se il governo non interverrà,19.200 lavoratori in isopensione e 4 mila con contratto di espansione si ritroveranno con un vuoto di tre mesi senza assegno, senza contributi, senza tutele”.

STIMA COMPLESSIVA DEI LAVORATORI A RISCHIO PER EFFETTO DELL’ADEGUAMENTO 2027

Si tratta, aggiunge, “di persone che hanno lasciato il lavoro nel pieno rispetto delle regole, firmando accordi con aziende e fondi, basati su date certe di accesso alla pensione. A questi si aggiungono altri 21 mila lavoratori usciti con i Fondi di solidarietà bilaterali, per i quali, seppur con impatti diversi, si configura comunque un possibile vuoto di copertura previdenziale”.

Cigna ricorda che, come la Cgil aveva già denunciato a gennaio, “in assenza di interventi correttivi, nel 2027 il requisito per la pensione anticipata salirà a 43 anni e 1 mese di contributi (42 anni e 1 mese per le donne), mentre la pensione di vecchiaia passerà da 67 a 67 anni e 3 mesi. Un ulteriore ostacolo per migliaia di lavoratrici e lavoratori, che rischiano di non vedere riconosciuto il diritto maturato in base alle regole precedenti”.

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Ma il problema non si esaurisce con il 2027, riguarda anche gli anni successivi, e più in generale l’impianto stesso del sistema previdenziale. “Gli effetti dell’adeguamento alla speranza di vita – dichiara infatti la segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione – pesano già oggi sulle nuove generazioni, costrette a posticipare sempre di più l’età della pensione e a fare i conti con assegni sempre più bassi, a causa della progressiva riduzione dei coefficienti di trasformazione. Un meccanismo che rischia di minare la fiducia dei giovani nel sistema pubblico e di accentuare disuguaglianze già profonde”.

A conferma di queste preoccupazioni, i dati dell’Osservatorio statistico Inps: il 53,5% delle pensioni vigenti al 1° gennaio 2025 ha un importo inferiore a 750 euro. Percentuale che sale al 64,1% tra le donne. Di queste, 4,1 milioni di pensioni (pari al 43,1%) beneficiano di integrazioni al reddito legate alla soglia minima.

“È inaccettabile – sostiene la segretaria confederale della Cgil – che più della metà delle pensioni sia sotto la soglia della dignità. Lo ribadiamo al governo, che aveva promesso il superamento della legge Fornero ma nei fatti è riuscito solo a peggiorarla azzerando ogni forma di flessibilità in uscita e tagliando la rivalutazione: serve una riforma vera, che garantisca pensioni adeguate e dignitose, soprattutto per le donne e i giovani che spesso hanno carriere discontinue o lavori precari”.