Il giochino è sempre lo stesso: si modificano in peggio le leggi e poi, quando la frittata è fatta, si annuncia solennemente: “Tranquilli, non tocchiamo nulla”. Il sottinteso che non si dice è: “Abbiamo già toccato”. In questo caso si parla di pensioni e il proclama è stato del ministro Giorgetti nel presentare il Psb, cioè il Piano di bilancio strutturale, nel cui perimetro, secondo le nuove regole europee, va poi approntata la legge di bilancio e tutti gli altri provvedimenti di politica economia.

Peccato che - con le due leggi di bilancio precedenti - il governo Meloni sia riuscito a: azzerare di fatto Opzione donna e Quota 103, penalizzare fortemente Ape sociale e a operare tagli sulle rivalutazioni che avranno ricadute pesantissime sui futuri assegni pensionistici. Dire, come ha fatto Giorgetti la scorsa settimana durante l’incontro con i sindacati sulla legge di bilancio, che le suddette misure verranno prorogate significa semplicemente che verranno confermati i tagli già fatti sulle poche (insufficienti) misure che permettevano un’uscita anticipata. Un solo esempio: Quota 103 (62 anni di età e 41 di contributi) con ricalcolo contributivo produce una perdita fino al 20 per cento sull’assegno.

Inutile ricordare che in campagna elettorale le promesse erano state di ben altro segno: "Cambieremo radicalmente la legge Monti-Fornero”. Il che effettivamente è avvenuto: la Monti-Fornero è stata se possibile peggiorata ulteriormente.

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Un sistema sostenibile?

Il Piano parte da un dato. Si stima che tra il 2023 e il 2027 la spesa per le pensioni aumenterà dal 15 al 15,4% il che pone delle sfide legate alla sostenibilità del sistema. Le dinamiche demografiche sono note, la vita si allunga, si fanno meno figli e il lavoro diminuisce: la popolazione in età attiva tra 15 e 64 anni si è già ridotta di 1,8 milioni di unità tra 2013 e 2023. E, dunque, nero su bianco si dichiara nel Piano l’impegno del governo a “modificare i criteri di accesso”.

Di fronte a questo scenario, commenta Ezio Cigna, responsabile previdenza della Cgil, “il governo si limita a indicare soluzioni che potrebbero allungare l’età pensionabile, rafforzare la previdenza complementare e trattare le pensioni come una mera voce di spesa da comprimere, senza considerare le profonde ricadute sociali, soprattutto sulle categorie più vulnerabili”.

Insomma, sottolinea Lara Ghiglione, segretaria confederale della Cgil “sulle pensioni si continua a fare cassa, anziché delineare proposte di potenziamento delle politiche attive per aumentare l'occupazione, specialmente giovanile e femminile, ampliando la base contributiva e riducendo così la pressione sulla spesa pensionistica”.

Per una pensione dignitosa

Un’azione di riforma radicale del mercato del lavoro, oltre che ad ampliare la base contributiva, dovrebbe anche servire a migliorare le pensioni future, perché – con il sistema contributivo – precarietà, lavoro discontinuo e bassi salari generano automaticamente pensioni povere. Anche qui, però nulla: è sicuramente importante il fatto che sia scomparsa l’idea che era circolata nelle scorse settimane di rendere obbligatorio il versamento del 25% tfr nei fondi pensione, ma se il cosiddetto secondo pilastro è importante, i calcoli della Cgil hanno dimostrato come esso non sia risolutivo per portare i futuri assegni a un livello decente.

Gli incrementi che ne potrebbero derivare variano, infatti, da 22 a 112 euro al mese nei casi più “fortunati” e le donne sarebbero ancora una volta penalizzate. “Per garantire pensioni dignitose ai più fragili, ad esempio giovani, precarie e donne - commenta Ghiglione - bisogna introdurre una pensione di garanzia, come noi chiediamo da tempo”.

L’inganno sulle rivalutazioni

Anche in questo caso Giorgetti sostiene che il governo non toccherà le rivalutazioni degli assegni, aggiungendo però in maniera sibillina che il Parlamento, essendo sovrano, se vorrà potrà farlo. Affermazione pleonastica che proprio per questo genera più di un sospetto. In ogni caso, seppur il Parlamento non toccherà nulla, i tagli alle rivalutazioni effettuati nel 2023-24 peseranno eccome: 585 euro netti per una pensione netta di 1.786 euro nette e 2.769 per una pensione di 2.735 euro nette, secondo i calcoli di Cgil e Spi. E, va sottolineato, la perdita è irrecuperabile: il taglio è a vita.

Se poi si ripetessero quei tagli anche per il 2025, nel triennio una pensione netta di 1.732 euro nel 2022 subirà un taglio complessivo di 968 euro; una pensione di 2.029 euro perderà 3.571 euro.

Insomma, la conclusione è sempre la stessa. Per il governo le pensioni sono una semplice voce di bilancio – come se non garantissero, insieme al lavoro, la qualità della vita delle persone – che può essere usata con grande disinvoltura. “Sulle pensioni si continua a fare cassa, anziché delineare proposte di potenziamento delle politiche attive per aumentare l'occupazione, specialmente giovanile e femminile, ampliando la base contributiva e riducendo così la pressione sulla spesa pensionistica”, conclude Ghiglione.