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I numeri non mentono e quelli del ministero della Salute analizzati dalla Fondazione Gimbe sono impietosi. Lo studio della Fondazione si aggiunge all’allarme sulla garanzia del diritto alla salute di altri autorevoli istituti di ricerca. Confermano e rafforzano l'analisi e le preoccupazioni della Cgil: l'assedio al Ssn è in atto.
I medici di medicina generale, quelli cosiddetti di famiglia, primo e unico accesso a tutti i servizi del Servizio sanitario, sono troppo pochi e saranno sempre meno. Già oggi ne mancano oltre 3.100, non si trovano e non si troveranno. A fine 2026 ne saranno andati in pensione altri 11.400 e non si sa come sostituirli. Perché in troppo pochi frequentano il corso di formazione necessario per essere arruolati, perché troppi pochi giovani medici scelgono questa professione che sempre più assomiglia – visti gli oneri che gravano sulle loro spalle – a una funzione burocratica anziché all’esercizio della medicina in “scienza e coscienza”.
Siamo all’emergenza
In Lombardia come in Calabria, ma certo non va meglio nelle altre regioni: quando il proprio dottore va in pensione, o quando semplicemente si cambia casa spostandosi in un altro quartiere se non di città, trovarne uno nuovo è impresa impossibile. Così come cambiarlo, se quello che si ha non soddisfa più. Non ci sono. “L’allarme sulla carenza dei Mmg – afferma Nino Cartabellotta presidente della Fondazione Gimbe – oggi riguarda tutte le Regioni ed è frutto di un’inadeguata programmazione che non ha garantito il ricambio generazionale in relazione ai pensionamenti attesi. Così oggi spesso diventa un’impresa poter scegliere un Mmg vicino a casa, con conseguenti disagi e rischi per la salute, in particolare di anziani e fragili”.
I primi ad esser preoccupati
Sono proprio loro a lanciare l’allarme. I medici di famiglia pagano sulla loro pelle le insufficienze del sistema, a cominciare dalla scarsità dei sanitari in servizio. Dice Giorgio Barbieri, responsabile Mmg della Fp Cgil: “Analisi del tutto condivisibile quella di Gimbe. Anche perché sui numeri c’è poco da dividersi. Si può solo prendere atto della situazione in cui siamo precipitati e, soprattutto, delle fosche proiezioni per gli anni a venire. Si tenga conto, per esempio, che negli ultimi sette anni certificati da Agenas, si sono convenzionati in Lombardia 165 nuovi mmg (666 in tutta Italia), mentre, in uno stesso lasso di tempo, ne sono in uscita per pensionamento 4.265 (il 74% di quelli in servizio; circa 30.000 in Italia)”.
La formazione
Quella dei Mmg è l’unica branca della medicina che non prevede una specializzazione universitaria ma un corso di formazione regionale finanziato con borse di studio ministeriali. E già questo è un bel problema. Non è un caso, infatti, che tra le rivendicazioni di molti c’è proprio quella di rendere universitaria anche la loro di specializzazione. E poi vi sono, anche in questo caso, le poche risorse messe a disposizione. Soltanto 1.000 borse l’anno sono state destinate dal ministero al corso di formazione specifica in medicina generale dal 2014 al 2017, aumentando poi fino alle 4.332 del 2021, anno secondo dell’era Covid che ha svelato la totale mancanza della medicina territoriale. La curva è tornata lentamente a scendere fino a 2.596 del 2023. Piccolo particolare non irrilevante: dal 19 al 23 le borse sono state finanziate non con le risorse ordinarie ma con quelle aggiuntive del DL Calabria prima e del Pnrr poi. Ma se già questi nuovi Mmg non sono sufficienti a colmare i vuoti causati dai pensionamenti o dagli abbandoni, cosa succederà nei prossimi anni?
Il contratto che non c’è
Questa è la seconda nota dolente della vicenda. I medici di medicina generale sono dei liberi professionisti convenzionati con il sistema sanitario regionale attraverso un accordo collettivo nazionale tra Servizio sanitario nazionale, cioè lo Stato, e i medici di medicina generale. Non ricevono uno stipendio ma vengono pagati per quota capitaria: 3,5 euro lordi al mese per ciascun paziente, a carico loro sono le spese dello studio, la remunerazione della segretaria e quella del proprio sostituto quando si va in ferie o si è malati. Anche loro vorrebbero dipendere dal Ssn e un contratto collettivo nazionale di lavoro, da tempo è questa la richiesta della Fp Cgil, inascoltata.
Pazienti o clienti?
L’Accordo rinnovato poche settimane fa peggiora ulteriormente le condizioni: aumenta da 1.000 a 1.200 il cosiddetto rapporto ottimale di assistiti da prendere in carico con la possibilità di estenderlo fino 1.890 per ogni medico ma già in molte regioni si è superato questo massimale. Nel 2022, questo è l’ultimo anno di cui ci sono dati messi a disposizione dal ministero della Salute, attestano che su 39.366 Mmg il 47,7% ha più di 1.500 assistiti. In particolare, il massimale di 1.500 assistiti viene superato da più di un sanitario su due in Emilia-Romagna (51,5%), Campania (58,4%), Provincia Autonoma di Trento (59,1%), Valle D’Aosta (59,2%), Veneto (64,7%).
E addirittura da due su tre nella Provincia Autonoma di Bolzano (66,3%) e in Lombardia (71%). “Questo sovraccarico di assistiti – commenta Cartabellotta – determina inevitabilmente una riduzione della disponibilità oraria e, soprattutto, della qualità dell’assistenza accendendo ‘spie rosse’ su tre elementi fondamentali: la reale disponibilità di Mmg in relazione alla densità abitativa, la distribuzione omogenea e capillare sul territorio e la possibilità per i cittadini di esercitare il diritto della libera scelta”.
Previsioni fosche
Se i dati forniti dalla Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg), tra il 2023 e il 2026 ben 11.439 camici bianchi hanno spento, o stanno per farlo 70 candeline: fino a poche settimane fa questa era l’età massima oltre la quale era obbligatorio andare in pensione. Da poco il governo, infatti ha spostato di due anni tale soglia ma non è affatto detto che davvero i Mmg resteranno in attività fino al raggiungimento di quell’età. Ed è comunque bislacco che per fronteggiare la mancanza di sanitari li si faccia lavorare di più. Sta di fatto che mentre l’età media della popolazione aumenta e con essa il bisogno di assistenza sanitaria, i medici di famiglia diminuiscono. Secondo quanto attesta la Sisac (La Struttura interegionale sanitari convenzionati) i Mmg nel 2022 erano 37.860, ben 4.149 in meno rispetto al 2019 (-11%) con notevoli variabilità regionali: dal -34,2% della Sardegna al -4,7% del Molise, e la curva negativa è in aumento.
Cambiare rotta
Appare evidente che le strategie messe in campo negli anni passati non riescono a risolvere il problema, anzi. Secondo il presidente della Fondazione Gimbe la strada da percorrere è un’altra: “Le soluzioni attuate, quali l’innalzamento dell’età pensionabile a 72 anni, la possibilità per gli iscritti al corso di formazione in medicina generale di acquisire sino a 1.000 assistiti e le deroghe regionali all’aumento del massimale, servono solo a ‘tamponare’ le criticità, senza risolvere il problema alla radice. Occorre dunque mettere in campo al più presto una strategia multifattoriale: adeguata programmazione del fabbisogno, tempestiva pubblicazione da parte delle Regioni dei bandi per le borse di studio, adozione di modelli organizzativi che promuovano il lavoro in team, effettiva realizzazione della riforma dell’assistenza territoriale prevista dal Pnrr (case di comunità, ospedali di comunità, assistenza domiciliare, telemedicina), accordi sindacali in linea con il ricambio generazionale e la distribuzione capillare dei Mmg”.
Non è un caso
Quel che a ben guardare appare evidente è che certo le risorse sono scarse, certo i tagli e una carente organizzazione e programmazione pesano, ma come afferma la Cgil in realtà siamo in presenza di una strategia di assedio del Ssn. Giorgio Barbieri, che il medico di medicina generale lo fa per mestiere e a tempo pieno, è netto: “Preso quindi atto della del tutto evidentemente inadeguata programmazione, la domanda diventa: ‘Si tratta di clamoroso errore, quindi di palese incapacità di chi avrebbe dovuto gestire il ricambio o di precisa scelta, legata al risoluto proposito di liquidare Il Ssn pubblico?’. È mia opinione che quello che molti di noi giudicano un gravissimo problema, per altri sia un obiettivo. Sostituire la sanità pubblica con quella delle assicurazioni”.