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Il 2024 è cominciato con le parole importati pronunciate da due uomini. Il presidente Matterella e Papa Francesco hanno dedicato i loro discorsi di apertura d’anno alle donne sottolineandone il valore e la loro strategicità. Parole importanti che avrebbero bisogno di ascoltatori e ascoltatrici attenti dalle parti del Governo che a parole, spesso sbagliate e inopportune, afferma di voler incentivare la natalità, affermazioni che non trovano coerenza con le politiche realizzate a cominciare dalla manovra appena approvata.
L’Ufficio studi della Camera
E i dati sono impietosi. Sono ben esposti in un Dossier elaborato dall’Ufficio studi della Camera dei Deputati su donne lavoro e maternità che non lascia dubbi, il tasso di occupazione femminile è il più basso di Europa, indietro di 14 punti rispetto alla media dei paesi Eu, e pur essendo le donne la maggioranza della popolazione italiana, quelle occupate sono circa 9,5 milioni mentre gli uomini al lavoro sono 13 milioni. “Il dossier della Camera conferma le nostre preoccupazioni”. È questo il primo commento di Lara Ghiglione, segretaria confederale della Cgil che aggiunge: “Da tempo denunciamo l'assenza di politiche, e relativi investimenti, in grado di abbattere i divari di genere, in particolare quelli occupazionali e salariali. Il fatto che una donna su cinque smetta di lavorare per problemi di conciliazione o per una valutazione di carattere economico evidenzia come anche questo governo, nonostante i tanti proclami, stia fallendo anche da questo punto di vista”.
Maternità e lavoro: inconciliabili
Ma ciò che davvero dovrebbe far suonare campanelli e campane di allarme è che, secondo l’Ufficio Studi della Camera: “Una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità. La decisione di lasciare il lavoro è infatti determinata per oltre la metà, il 52 per cento, da esigenze di conciliazione e per il 19 per cento da considerazioni economiche. In generale, il divario lavorativo tra uomini e donne è pari al 17,5 per cento, divario che aumenta in presenza di figli e arriva al 34 per cento in presenza di un figlio minore nella fascia di età 25-54 anni”. E la dimostrazione che lavoro e maternità nel nostro Paese sono praticamente inconciliabili sta nel fatto che il tasso di occupazione delle donne con figli sotto i 6 anni è del 55% mentre quello delle non mamme è oltre il 77%. E il Governo latita. Afferma preoccupata la segretaria della Cgil: “Nella Legge di bilancio 2024 il nulla. Servivano investimenti mirati a creare nuova occupazione ed era necessario vincolarne una percentuale all'assunzione delle donne, come avrebbero dovuto fare il Pnrr, e anche investire sui servizi pubblici, ad iniziare dal sistema educativo per la fascia 0-6, per far sì che la genitorialità diventi un valore sociale”.
Il gap salariale
Tra le ragioni dell’abbandono del lavoro alla nascita di un figlio vi è anche quella economica. Cioè, spesso alla lavoratrice conviene rimanere a casa ad occuparsi di un bimbo o di una bimba perché economicamente più conveniente che assoldare chi si occupi di loro. Conviene a lei non al padre del figlio perché il salario maschile è assai più alto di quello femminile. Si legge ancora nel Dossier: “La differenza tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini è pari al 43%, al di sopra della media europea, che è invece pari al 36,2%”.
Welfare familiare al posto di quello pubblico
Il lavoro di cura, quello verso i bimbi e le bimbe e quello verso gli anziani, è ancora quasi esclusivamente sulle spalle delle donne. E l’idea di famiglia propagandata ma non praticata dalla presidente Meloni e dal suo governo si fonda proprio sulla non condivisione del lavoro di cura affidato a mamme, moglie e figlie. Non è affatto un caso che il perimetro dei servizi pubblici sia stato ridotto dalla manovra di bilancio e che gli sbandierati provvedimenti a favore della maternità siano del tutto insufficienti, anzi anacronistici visto che vanno a favore delle donne più forti e non delle più fragili. Che senso ha infatti ridurre i contributi alle lavoratrici a tempo indeterminato che fanno il terzo figlio quando la maggioranza delle donne a stento di figlio ne fa uno e quasi sempre un lavoro se ce l’ha è precario? Ancora, che senso ha aumentare il bonus asili nido quando la maggior parte dei posti in questi servizi sono concentrati al Nord e nelle graduatorie per accedere ai pochi disponibili fa punteggio che la mamma abbia un’occupazione? Dice ancora Ghiglione: “È inutile finanziare i ‘bonus nido’ se poi i nidi non ci sono proprio dove servirebbero di più, ad esempio nel Mezzogiorno”.
Il paradosso dei nidi
Secondo l’Unione Europea entro il 2010 il 33% di bimbi e bimbe da 0 a 2 anni doveva trovar posto al nido e entro il 2030 quella soglia dovrà attestarsi al 45%. Peccato che da noi, secondo gli ultimi dati Istat, i posti disponibili siano solo il 26,1% e concentrati nelle regioni del centro nord. Non solo i posti non ci sono, ma quei pochi disponibili hanno costi assai elevati. Seconda uno studio dell’Area Stato sociale e diritti e dell’Area Sviluppo della Cgil: “Le quote di compartecipazione ai costi a carico delle famiglie sono spesso troppo alte, anche a causa del peggioramento delle condizioni economiche delle famiglie, per molte delle quali le rette sono insostenibili e sempre più spesso condizionano la scelta di affidamento dei bambini ai nidi. Il livello di spesa media per utente a carico dei comuni è di 7.006 euro a livello nazionale ma con notevoli differenze tra le diverse regioni”.
Le strategie da mettere in campo
Secondo l’ultimo censimento dell’Istat la curva demografica continua la sua discesa quasi inesorabilmente. Il numero davvero più sconcertante e che descrive, purtroppo, la mancanza di futuro e la tendenza al sonnambulismo descritto dal Censis è quello dei nati: nel 2022 hanno visto la luce solo 392mila bimbi e bimbe con un decremento rispetto al 2021 dell1,7% pari a 7mila nascite in meno. Ma se il binomio maternità e lavoro continuerà ad essere quasi incompatibile difficilmente nasceranno tutti i figli che seppur desiderati non vedono la luce. Occorre, innanzitutto, aumentare l’occupazione femminile stabile e dignitosa, ridurre il differenziale salaria e mettere in campo strumenti di condivisione del lavoro di cura.
La strada da percorrere è chiara, il Governo sbanda
La via la ricorda la dirigente sindacale: “È arrivato il momento di introdurre un congedo obbligatorio di paternità paritario: l'Italia ha scelto 10 giorni a differenza delle 16 settimane della Spagna. È evidente che così pochi giorni non potranno fare la differenza per la piena condivisione delle responsabilità famigliari e per contrastare efficacemente la discriminazione in entrata nel mondo del lavoro, di cui sono ancora vittime le donne. Per queste ragioni il tema della parità di genere rimarrà un punto fondamentale della nostra mobilitazione”.