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È impietosa l’analisi consegnata al Parlamento dalla Corte dei Conti sul Servizio Sanitario Nazionale. Impietosa ma chiara, perché i numeri sono incontrovertibili. Le risorse economiche e umane sono troppo poche, diminuiscono inesorabilmente da almeno 15 anni e solo nel biennio 2020-2022 sono state implementate. Il Covid infestava il mondo e sono serviti soldi per arginare almeno in parte le falle che negli anni del sottofinanziamento si erano aperte. Quella lezione, però non l’abbiamo imparata, altro che “finirà tutto bene”! Dal 2023, da quando Giorgia Meloni siede a Palazzo Chigi, il disinvestimento – nonostante le favole che la premier racconta – è ripreso tanto da tagliare anche case e ospedali di comunità previsti dal Pnrr firmato Draghi ma revisionato al ribasso da Fitto.
Sempre più lontani dall’Europa
Certifica la Corte dei Conti che nel 2022 la spesa per la sanità pubblica è stata di 131 miliardi. La Germania nello stesso anno ne ha spesi 423, la Francia 271. E a scendere nel dettaglio si scopre che “a parità di potere d’acquisto, la spesa italiana pro capite risulta meno della metà di quella della Germania”. I tedeschi spendono per ciascun cittadino e cittadina il 53% più di noi, i francesi il 42% in più, il Regno Unito il 27,3%. E se è vero che negli anni della pandemia la spesa sanitaria italiana è aumentata, è aumentata assai meno degli altri Paesi europei che pure già spendevano molto più di noi. “Nel 2020/2021 (il biennio di maggiore intensità della pandemia), la spesa sanitaria pubblica è aumentata, in valore cumulato, del 15,5% in Italia, un incremento rilevante rispetto a quello medio anteriore alla pandemia, ma assai inferiore a quello avutosi in Francia (+19,2%), Germania (+18,4%), e Regno Unito (+28,6%)”.
Vale per i salari, vale per il Fsn
Mentre in Europa negli ultimi vent’anni i salari sono aumentati a doppia cifra, in Italia sono diminuiti, così vale per la spesa per la sanità. Sono sempre i magistrati contabili e fare le somme e le sottrazioni: “Esaminando i dati in valore reale (al netto dell’inflazione), nel quadriennio antecedente alla pandemia (2016-2019) la crescita della spesa sanitaria italiana è stata inferiore di 2,3 punti percentuali alla variazione del Pil in volume, mentre in Francia, Germania e Regno Unito essa è cresciuta, rispettivamente, 6,0; 5,5 e 1,9 punti percentuali più del Pil”.
Grazie alle operatrici e agli operatori
Tina Anselmi, ministra della Sanità, e Giovanni Berlinguer, relatore della legge istitutiva del Ssn nazionale al Senato, nel 1978 fecero davvero un buon lavoro scrivendo una riforma che doveva realizzare l’articolo 32 della Costituzione. Il servizio sanitario nazionale pubblico e universale che allora fu creato ha davvero risposto alla grande al dettato della Carta, ponendo alla sua base un concetto di salute che va ben al di là della cura delle malattie. Nonostante alcune riforme che nel corso degli anni ne hanno ridotto il perimetro pubblico spostando sul privato una parte delle funzioni e dei servizi, nonostante la riduzione di risorse a fronte dell’invecchiamento della popolazione e quindi dell’aumento dei bisogni di salute, il sistema regge e continua a dare buoni risultati. Il merito, come ci accorgemmo in pandemia ma sembra che ce ne siamo presto dimenticati, è degli uomini e delle donne che pur essendo troppo pochi e lavorando in condizioni difficili hanno tenuto in piedi il sistema.
Facciamo meglio di altri
Scrive ancora la Corte: “I risultati della performance del sistema sanitario nazionale continuano ad essere relativamente positivi. Ad esempio, tra gli indicatori di qualità delle cure, quello relativo al tasso di mortalità prevenibile in Italia (91 per 100.000 abitanti) o trattabile (55 per 100.000 abitanti) risulta molto inferiore alla media Ocse (pari, rispettivamente, a 158 e 79 per 100.000 abitanti); tra gli indicatori di qualità delle cure, quello relativo alla mortalità a 30 giorni dopo un attacco ischemico segnala valori più positivi per l’Italia (6,6% a fronte del 7,8% della media Ocse)”. E in Italia l’aspettativa di vita è più alta di circa un anno rispetto alla media dei Paesi europei. Ma questo vantaggio si sta riducendo perché da noi, soprattutto nelle regioni del Sud, si sta tornando indietro.
Tanti gli appelli per il Ssn
Proprio in queste ore 14 scienziati – tra loro anche premi Nobel – hanno messo nero su bianco un appello al governo: “I dati dimostrano – scrivono - che il sistema è in crisi: arretramento di alcuni indicatori di salute, difficoltà crescente di accesso ai percorsi di diagnosi e cura, aumento delle diseguaglianze regionali e sociali. Questo accade perché i costi dell’evoluzione tecnologica, i radicali mutamenti epidemiologici e demografici e le difficoltà della finanza pubblica, hanno reso fortemente sottofinanziato il Ssn”. A loro si sono aggiunte le Regioni che nel Parere della Conferenza unificata sul Dl Pnrr chiedono venga cassato il titolo 1 del comma 13 che taglia 1,2 miliardi alle Regioni stesse, soldi originariamente destinati alle strutture ospedaliere. Se quelle risorse non verranno ripristinate, si rivolgeranno alla Corte Costituzionale.
Il problema si chiama futuro
E già perché la situazione è quella che abbiamo descritto, ma le prospettive non sono certo rosee visto che, è sempre la Corte dei Conti a sottolinearlo, la Nadef approvata lo scorso ottobre ha sancito che nel 2023 le risorse stanziate erano il 6,6% del Pil, ma nel 2024 si è passati al 6,2%, che nel 2026 diventerà il 6,1. Con buona pace delle bugie della Meloni, che continua a sostenere che mai tanti soldi sono stati destinati alla sanità.
Mobilitazione necessaria
“Il governo è stato bocciato quattro volte sulla sanità”. A parlare è Daniela Barbaresi, segretaria nazionale della Cgil: “Prima la Corte dei Conti che descrive una sanità a pezzi, in un raffronto impietoso con gli altri Paesi europei. Poi 14 scienziati italiani che hanno lanciato l’allarme sullo stato di salute del Ssn e sulla necessità di adeguare il finanziamento agli standard europei (8% del Pil), finanziamento necessario e urgente a garantire la salute di cittadini e cittadine e la coesione sociale. Ancora, la Ragioneria dello Stato che intima al ministro di rendere indisponibili le risorse destinate all’aggiornamento dei Lea (spostato al 2025) da usare esclusivamente per ciò a cui sono destinate. Infine, la quarta bocciatura è la più sonora, arriva dalle Regioni che minacciano il ricorso alla Consulta se non verranno ripristinate le risorse tagliate con l’ultimo Decreto Pnrr”.
Le conclusioni della segretaria sono nette: “Queste bocciature ci preoccupano ulteriormente rispetto alle condizioni del Ssn e sul suo futuro. La nostra mobilitazione per la sanità pubblica è ancora più necessaria e urgente”.