Per le pensioni arriva il regalo di fine anno. A partire dal 1° gennaio 2025, infatti, entreranno in vigore i nuovi coefficienti di trasformazione per il calcolo contributivo degli assegni. L’aggiornamento arriva ogni due anni ed è stato previsto dalla legge Dini del 1996 e poi peggiorato dal governo Berlusconi con il decreto legge 78/2010 (la riforma Tremonti-Sacconi) che ha introdotto l'adeguamento biennale dei requisiti di accesso al pensionamento e dei coefficienti di trasformazione in funzione dell'aspettativa di vita.

Il risultato purtroppo è chiaro: “Con l’aumento dell’aspettativa di vita si determinerà una riduzione degli assegni pensionistici per chi accederà alla pensione nei prossimi anni”, spiega Ezio Cigna, responsabile delle Politiche previdenziali della Cgil nazionale. Insomma: una cattiva notizia che si somma alla mancata riforma della legge Fornero, sbandierata in campagna elettorale e mai effettuata.

Un caso concreto

Per capire di cosa stiamo parlando vediamo un caso concreto. Consideriamo la situazione di un lavoratore di 67 anni con una retribuzione alla cessazione dal lavoro di 30.000 euro e un montante contributivo accumulato di 283.971,65 euro. Ebbene, con il coefficiente di rivalutazione precedente del 5,723% (a 67 anni), questo lavoratore avrebbe ricevuto una pensione annua per la quota contributiva di 16.251,70 euro, pari a circa 1.250 euro al mese. Invece, nel biennio 2025-2026, con il nuovo coefficiente del 5,608%, l’assegno pensionistico annuo scenderà a 15.925,13 euro, ovvero circa 1.225 euro al mese.

“Una differenza significativa – sottolinea Cigna –: una perdita annua di 326,57 euro, pari a circa 25 euro in meno al mese. Questo taglio, apparentemente contenuto, si somma alle altre penalizzazioni già subite dai lavoratori (come lo spostamento in avanti del traguardo pensionistico), aggravandone ulteriormente la situazione”.

* Simulazioni con carriera lavorativa continuativa dal 1996 in avanti e retribuzione alla cessazione di 30.000 euro

Perché i coefficienti si abbassano?

Cerchiamo di capire come funziona il meccanismo. I coefficienti di trasformazione vengono rivisti ogni due anni per tenere conto delle variazioni delle aspettative di vita. Più alta è quest’ultima, più lungo sarà il periodo di erogazione delle pensioni e, di conseguenza, più bassi saranno i coefficienti. Dopo il temporaneo aumento del biennio 2023-2024, legato alla riduzione della speranza di vita per via degli effetti del Covid, i nuovi coefficienti tornano a calare per allinearsi alla tendenza storica. L’impatto di questo meccanismo è sistemico. La revisione colpisce infatti tutte le lavoratrici e i lavoratori che andranno in pensione dal 2025 in avanti e questo sistema perverso rischierà di impoverire sempre di più coloro – i giovani - che hanno tutta la posizione contributiva dopo il 1995. Per questo la Cgil denuncia da tempo l’iniquità di un sistema previdenziale che, in caso di allungamento dell’aspettativa di vita, genera una doppia ricaduta: si allunga il traguardo pensionistico e si abbassano i coefficienti di trasformazione e dunque le pensioni.

Lo sciopero del 29 novembre

Il tema della previdenza è uno di quelli al centro dello sciopero generale del 29 novembre proclamato da Cgil e Uil contro una legge di bilancio che per i sindacati ignora i bisogni reali del Paese e penalizza i diritti di chi lavora e ha lavorato una vita intera. In particolare, la manovra non riforma il sistema previdenziale ma lo aggrava, colpendo in modo particolare le categorie più deboli e si somma agli altri provvedimenti presi in due anni di governo Meloni.

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Basti ricordare che le donne, con carriere frammentate, si vedono di fatto negata ogni possibilità di accesso anticipato alla pensione. I lavoratori pubblici sono stati penalizzati dai tagli alle aliquote di rendimento delle casse previdenziali Cpdel, Cps, Cpi, Cpug e dal continuo rinvio del pagamento di Tfs/Tfr.

Non solo: è stata azzerata la flessibilità in uscita grazie alla proroga di Opzione donna, Ape sociale e Quota 103 con le modifiche peggiorative degli ultimi anni che le hanno di fatto azzerate o rese disponibili per una platea molto ristretta. Ma a pagare sono anche gli attuali pensionati che subiscono l’erosione del potere d’acquisto senza alcun adeguato intervento compensativo dopo i tagli della perequazione degli ultimi due anni che non saranno più recuperabili.

Insomma, attacca Lara Ghiglione, segretaria confederale della Cgil, “si chiedono ancora sacrifici a lavoratrici e lavoratori. Il governo dopo aver promesso il superamento della legge Fornero, ha azzerato quelle forme di flessibilità che negli ultimi anni erano state introdotte, come Opzione donna e l’Ape sociale e gli obiettivi dichiarati all’Europa si sono tradotti, con le ultime tre leggi di bilancio, nell’allungamento del traguardo pensionistico a 70 anni: altro che 41 anni di contributi per tutti”.

Sciopereremo il prossimo 29 novembre per sostenere scelte diverse da quelle assunte da questo governo – conclude la sindacalista –, e che mettano al centro il lavoro, i giovani, le donne, la lotta alla precarietà e l’aumento dei salari. Altrimenti ancora una volta chi è povero al lavoro rischia di essere più povero in pensione, ‘pagando’, paradossalmente, per chi magari in questo Paese non paga tasse e contributi”.