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Quarantacinque anni fa, con la legge 833, nasceva il Servizio sanitario nazionale, pubblico e universale, considerato dall’Oms tra i migliori al mondo. Una conquista straordinaria, frutto anche di una stagione di lotte di lavoratori e lavoratrici, di partecipazione e di progressi sul fronte dei diritti sociali e civili, che ha dato attuazione all’art. 32 della Costituzione a tutela della salute, fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Si tratta dello stesso anno della legge 180 – che ha stabilito la chiusura degli ospedali psichiatrici – e della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza.
Salute intesa come benessere fisico, sociale, mentale e non solo assenza di malattie. Un diritto che deve essere garantito a tutte e tutti, in ogni territorio e non una variabile dipendente da dove si è nati o si vive o dalla propria condizione economica.
Una sanità che si liberava della gabbia corporativa delle mutue e dalla logica del rimborso della malattia, a cui oggi rischiamo di tornare, e si apriva alla presa in carico dei bisogni di salute della persona e del benessere complessivo della comunità, con un sistema sostenuto dalla fiscalità generale e un modello organizzativo coerente con i fondamentali principi di universalità, equità e uguaglianza in una logica di prevenzione, programmazione, partecipazione e forte integrazione socio-sanitaria e continuità ospedale-territorio.
A distanza di 45 anni, e dopo lunghi periodi di tagli alle risorse e tetti alla spesa, il Ssn ha saputo resistere grazie all’impegno e al valore dei suoi lavoratori e lavoratrici, ma oggi rischia il collasso vivendo una crisi senza precedenti per le scelte sbagliate a partire da quella, dopo l’emergenza pandemica, di tornare di nuovo a disinvestire dalla sanità pubblica a conferma della volontà politica del governo Meloni di proseguire nello smantellamento del Ssn e nella privatizzazione della salute.
Già oggi il raffronto con gli altri Paesi europei è impietoso rispetto alla spesa sanitaria pubblica in valore pro capite, così come per le dotazioni organiche e le retribuzioni del personale sanitario tra le più basse in Europa. In questo scenario il Governo velocizza la privatizzazione della sanità e il passaggio dall’universalità del Ssn e della salute come diritto alla cura a una sanità intesa bene di consumo per chi può permetterselo, tanto che la spesa privata sostenuta dai cittadini ha superato la cifra record di 40 miliardi all’anno, mentre torna ad affermarsi la cultura della prestazione sull’idea della presa in carico dei più complessivi bisogni di salute.
Ma quando si arriva a dover scegliere se curarsi pagando, rimandare le cure o, peggio ancora, rinunciare a curarsi, come accade per gli insostenibili tempi di attesa, si materializza la peggiore delle diseguaglianze e un attacco alla dignità delle persone.
Nonostante i tanti annunci e promesse del ministro Schillaci, dietro la manovra per il 2024 ora al voto del Parlamento, si nascondono solo tagli accompagnati da un’ulteriore privatizzazione della sanità, con le Regioni che avranno meno risorse a disposizione rispetto a quelle già insufficienti di oggi, come peraltro certifica la Corte dei Conti.
Totalmente sbagliate le scelte sul personale alla cui carenza il governo sembra non avere altra strategia se non quella di far lavorare di più medici e infermieri con prestazioni aggiuntive, dunque ricorrendo al “cottimo” in sanità. E mentre si conferma il tetto alla spesa sul personale, si innalzano i tetti alla spesa farmaceutica e quella per acquisti di prestazioni da privati a cui saranno destinati 1,2 miliardi di euro in più nel triennio: ulteriori risorse che si dirottano verso la sanità privata, quando invece non si prevede nulla per la non autosufficienza a fronte del progressivo invecchiamento della popolazione.
Non solo. Anche la rimodulazione della missione 6 del Pnrr si è tradotta in tagli a case della comunità, ospedali di comunità, centrali operative territoriali, posti nelle terapie intensive e persino agli interventi antisismici negli ospedali.
Tagli e scelte sbagliate del governo che lasceranno sempre più soli i cittadini costretti a fare i conti con tempi di attesa sempre più insostenibili, diseguaglianze tra persone e territori, assistenza e cure sempre più inaccessibili se non ricorrendo al privato o rinunciando a curarsi.
Oggi l’impegno deve essere quello di recuperare con convinzione lo spirito e le finalità della legge 833 per garantire un Servizio sanitario nazionale forte, pubblico e universale che richiede dalla politica coerenza in termini di risorse, scelte organizzative e priorità e dai cittadini la determinazione di continuare a lottare per difenderlo e rilanciarlo.
Per queste ragioni, occorre proseguire nella mobilitazione, a partire da ogni territorio, consolidando l’alleanza con la società civile e con tutti coloro che vogliono difendere, irrobustire e rilanciare il Ssn, pubblico e universale, e avere cura della salute di tutte e tutti. La Cgil c’è e continuerà come sempre a fare la sua parte.
Daniela Barbaresi, segretaria confederale Cgil