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Iniziamo dai dati Istat: nel 2024 siamo scesi sotto la soglia degli 1,2 figli per donna, arrivando a registrarne 1,18, superando così il triste minimo storico di 1,19 del 1995, quando però i nati furono 526 mila contro i 370 mila dello scorso anno.


Invertire la curva della natalità è un processo complesso che richiede politiche strutturali e di medio-lungo periodo. Non servono bonus né inviti a procreare che, invece, sembrano essere le attività preferite dalla presidente del Consiglio Meloni e dalla ministra per la Natalità, la famiglia e le pari opportunità Roccella.
Né servono questi fantomatici “centri per la famiglia” che sempre Roccella vorrebbe istituire in tutto il territorio nazionale, probabilmente facendo perno sui soggetti privati che già esistono, dimenticandosi che dalla metà degli anni settanta del secolo scorso sono previsti per legge i consultori pubblici che dovrebbero essere 1 ogni 20 mila abitanti, mentre dagli ultimi dati disponibili sappiamo che se ne trova 1 ogni 35 mila.
E dimenticando che per favorire la natalità occorre che i bimbi e le bimbe trovino accoglienza negli asili nido e, crescendo, nei servizi per l’infanzia e l’adolescenza. E che magari le donne, per scegliere liberamente se e quando avere figli, hanno bisogno di occupazione stabile e di qualità.
Denatalità, sintomo di diverse malattie
“I dati Istat certificano lo scenario allarmante di una glaciazione demografica, sono sintomatici di un Paese senza speranza e fiducia nel futuro, al quale non basta certo qualche bonus né tanto meno un retorico ministero della Natalità”, dichiara la segretaria confederale Cgil Daniela Barbaresi: “Servono con urgenza forti politiche strutturali per dare certezze, soprattutto ai giovani. Servono la certezza di solide prospettive di lavoro e reddito, lavoro stabile e ben retribuito per consentire di formare una famiglia e decidere di avere figli, congedi adeguatamente remunerati e paritari, la certezza di una casa e di una rete di servizi per l'infanzia, a partire da asili nido diffusi nel territorio, accessibili e gratuiti”.
Numeri impietosi
Occorre leggere, studiare, riflettere e magari essere aperti e aperte all’ascolto. Torniamo ai numeri allora. al 31 dicembre 2024 l’Istat (sono dati ancora provvisori) ha contato 58 milioni 934 mila individui nel nostro Paese. Registrando quindi una diminuzione, rispetto al 2023, di ben 37 mila unità. La cosa da sottolineare è che non solo sono nati meno bambini e bambine (il 2,6% manca all’appello), ma si registra anche un espatrio di residenti: sono ben 191 mila le persone che lo scorso anno se ne sono andate, in sensibile aumento sul 2023 (+33mila).
La sintesi di quanto è accaduto è presto detta: “Il minimo storico di fecondità, la speranza di vita che supera i livelli pre-pandemici, l’aumento degli espatri di cittadini italiani, il nuovo massimo di acquisizioni della cittadinanza italiana cui si affianca comunque l’importante crescita della popolazione straniera residente”. Tradotto: se non arrivassero stranieri, la situazione sarebbe ben peggiore. Lo scorso anno sono arrivati 435 mila migranti, 5 mila in meno rispetto all’anno precedente.


Il governo che fa?
Si potrebbe rispondere: la guerra ai migranti, per i giovani solo precarietà e bassi salari, nessuna politica di condivisione della genitorialità, tante parole e molta propaganda, non riuscendo nemmeno a spendere i soldi europei. “Il governo appare inerme, come dimostra l’incapacità di spendere i 3,6 miliardi del Pnrr per asili nido e scuole dell’infanzia”, denuncia Barbaresi.
“A meno di 15 mesi dalla fine – ricorda la dirigente sindacale, citando il Report dell’Area Stato sociale e diritti della Cgil – è stato speso solo un quinto dei fondi; appena il 3,7% delle opere risulta completato e collaudato, mentre 868 progetti presentano ritardi. Per quanto riguarda la fase esecutiva, risultano in corso lavori per 1.602 strutture (pari al 57,2% delle opere previste), ma ci sono ritardi evidenti e diffusi nell’esecuzione di un terzo dei progetti e, in particolare, nell’avvio dei lavori di esecuzione di 385 strutture (13,8%), cui si aggiungono altre 629 opere con ritardi nella fine dei lavori (22,5)”.
Non tutta Italia è paese
E già perché in Trentino Alto Adige (+3,1 per mille), Emilia Romagna (+3,1 per mille) e Lombardia (+2,3 per mille) le nascite sono aumentate, mentre nelle regioni meridionali il calo è più forte, con maglia nera Basilicata (-6,8 per mille) e Sardegna (- 5,8 per mille). La ministra Roccella dovrebbe dunque accorgersi che le prime sono quelle dove il tasso di occupazione femminile è maggiore, i posti negli asili nido sono tra i più alti del Paese e così la qualità e la quantità degli strumenti di condivisione. Mentre al Sud è vero l’esatto contrario. Eppure è sempre il Governo Meloni che ha deciso che l’obiettivo minimale del 33% di posti in asilo nido vale a livello nazionale mentre per le singole regioni è sufficiente il 15. Risultato tanti posti al Nord e pochi al Sud.
Per la Confederazione “è ancor più preoccupante che i ritardi maggiori si evidenzino nelle Regioni più lontane dall’obiettivo del 33% dei posti nido da garantire entro il 2027. Uno scenario da scongiurare, così come da scongiurare è un’ulteriore rimodulazione che si traduca in tagli a questi obiettivi”.
Un dato positivo, con luci e ombre
Una notizia confortante la troviamo leggendo il Report dell’Istat: aumenta la speranza di vita alla nascita, si guasagnano quasi cinque mesi di vita rispetto al 2023, arrivando a 83,4 anni. Contemporaneamente si contano 20 mila decessi in meno nello stesso arco temporale. Si vive più a lungo, ma aumentano anche le patologie croniche e la non autosufficienza. E il governo cosa fa? Diminuisce i fondi per la sanità e pure quelli per la non autosufficienza, ignorando i sindacati e i medici di base che denunciano come la sperimentazione della riforma mostra tutte le lacune e le insufficienze che da tempo sempre i sindacati avevano segnalato.


Già, la sanità
Meloni e Roccella dovrebbero capire che per invertire la curva della natalità servono più servizi pubblici. “Anche la sanità – conclude Barbaresi – dovrebbe fare la propria parte: occorre
garantire la piena funzionalità dei consultori, a cinquant'anni dalla loro istituzione, affinché mettano a disposizione percorsi nascita completi e percorsi per la salute nei primi 1.000 giorni di vita dei bambini e delle bambine, di modo da garantirne il sano sviluppo e sostenere la genitorialità”.