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Il Servizio sanitario nazionale esce ulteriormente indebolito dal Covid: indebolito e frammentato come ha dimostrato l’emergenza pandemica. I Lea, cioè i livelli essenziali di assistenza, non sono infatti già oggi esigibili in egual modo in tutte le regioni, ma se venisse approvata l’autonomia differenziata si legittimerà normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute. Lo afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe che propone, invece, di rilanciare il Ssn.
Cosa ci hanno detto Covid e post pandemia rispetto al diritto alla salute da garantire in egual misura per i cittadini di tutte le Regioni?
Il nostro Servizio sanitario azionale è stato colpito duramente dall’emergenza Covid-19 in un momento di grande fragilità a causa del consistente definanziamento nel decennio 2010-2019. La pandemia lo ha ulteriormente indebolito per tre ragioni: gli investimenti sono stati interamente assorbiti dall'emergenza; sono emersi nuovi bisogni di salute (long-Covid, salute mentale); il personale sanitario è sempre più demotivato o addirittura fugge dal Ssn. Al contempo il rilancio del Servizio sanitario nazionale sembra un miraggio: nel Def 2023 il rapporto spesa sanitaria/Pil scende progressivamente sino al 6,2% nel 2025, ben al di sotto dei livelli pre-pandemia. In questo contesto si acuiscono le diseguaglianze e il diritto alla tutela della salute resta legato al Cap di residenza e allo status socio-economico.
È aperto un confronto sul testo Calderoli relativo all’autonomia differenziata. Se venisse approvata si rischia un’ulteriore differenziazione tra Regioni?
Si rischia proprio il colpo di grazia al Ssn. Ovvero in sanità il regionalismo differenziato legittimerà normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute. Peraltro proprio quando il Paese ha sottoscritto con l’Europa il Pnrr, il cui obiettivo trasversale è quello di ridurre le diseguaglianze regionali e territoriali. Ecco perché la Fondazione Gimbe, in commissione Affari costituzionali ha proposto di espungere la tutela della salute dalle materie su cui le regioni possono richiedere maggiori autonomie.
Già oggi i Lea non sono esigibili nello stesso modo ovunque. Quali rischi ulteriori ci sarebbero per il futuro?
I dati sugli adempimenti Lea relativi al decennio 2010-2019 mostrano che nelle prime 10 posizioni non vi è alcuna regione del Sud e le regioni che hanno richiesto maggiori autonomie si collocano nella “top five”. La situazione non migliora nel 2020. Al momento, il DdL Calderoli riguarda solo la definizione dei Livelli essenziali di prestazione e non la loro applicazione, che richiede un adeguato finanziamento e verifiche sulla loro esigibilità da parte dello Stato, ma i presupposti stridono con il diritto alla tutela della salute.
Medici e infermieri sono pochi, spesso e introvabili. Se passasse la riforma cosa succederà?
Per anni molte Regioni che si trovano ancora nel piano di rientro non riusciranno a recuperare il deficit che riguarda infrastrutture, personale, organizzazione e gestione dell’assistenza. Nel contempo le regioni più ricche potranno gestire autonomamente le retribuzioni dei medici, i contratti di lavoro del personale sanitario, gli accessi alle scuole di specialità: chi ha soldi attrarrà lavoratori dalle altre regioni impoverendo ulteriormente il capitale umano al Centro-Sud.
Migrazioni sanitarie tra regioni: i territori del Sud finanzieranno la sanità del Nord in futuro?
Le analisi Gimbe confermano la forte capacità attrattiva delle regioni del Nord e la fuga dal Sud. Nel decennio 2010-2019, 13 regioni, quasi tutte del Centro-Sud, hanno accumulato un saldo negativo pari a 14 miliardi di euro. E tra i primi quattro posti per saldo positivo si trovano sempre le tre regioni che hanno richiesto le maggiori autonomie: Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, oltre alla Toscana. Nel 2020 su 3,33 miliardi di euro di valore della mobilità sanitaria, il 94,1% della mobilità attiva si concentra nelle regioni “autonomiste”.
Cosa servirebbe per garantire l’esigibilità dell’articolo 32 della Costituzione?
È necessaria un'azione politica urgente per affrontare le gravi sfide a cui è sottoposto il Ssn: infinite liste d'attesa, aumento della spesa privata, disuguaglianze regionali, rinunce alle cure e differenze nell'aspettativa di vita. La Fondazione Gimbe ha proposto un piano di rilancio in 14 punti che mira a finanziare adeguatamente il Ssn, potenziare il personale sanitario e garantire l’erogazione uniforme delle prestazioni e l’accesso equo alle innovazioni. Se non si agisce subito, la perdita del Ssn porterà a un disastro sanitario, sociale ed economico senza precedenti.