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Meloni, Giorgetti e Roccella avrebbero bisogno di leggere anche qualcos’altro oltre Tolkien. “I vostri figli non sono figli vostri. Sono i figli e le figlie del desiderio che la vita ha di sé stessa”. Così rispose il poeta Kahlil Gibran a una donna che gli chiese di parlargli dei figli. Tutti uguali, quindi, chiunque siano i genitori. E se sono i figli del desiderio che la vita ha di sé stessa vanno tutti sostenuti, preservati, incentivati. Inutile sollecitare le donne a farne di più se non le si mette in condizione di assecondare quel desiderio quando arriva.
Un gran parlare di Assegno unico
Assegno Unico sì, no, forse; cambiato come. Il “gioco” delle anticipazioni di possibili interventi da inserire nella prossima manovra per vedere l’effetto che fa è un po’ poco serio. Tanto più se si pone il fronteggiare l’inverno demografico tra le priorità delle priorità, poi si ipotizza di ridimensionare l’unico intervento strutturale e universale a favore delle famiglie con figli. Ma forse questo tentativo è dettato dal fatto che l’Assegno unico è un provvedimento targato governo Draghi, mentre i bonus asili nido e lavoratrici madri, frutto di questo esecutivo, di strutturale e universale non hanno proprio nulla. Certo, lo strumento così come è non è perfetto ma, la modifica che serve non va certo nella direzione dei desideri del governo.
La coerenza della Cgil
“Abbiamo sempre sostenuto l’importanza dell’Assegno unico universale, ma è urgente porre rimedio a una discriminazione inaccettabile, contro cui è intervenuta anche la Commissione Europea, e rendere esigibile il diritto di tanti minori e delle loro famiglie all’accesso a strumenti di sostegno. Famiglie che con il passaggio alla nuova misura hanno subito perdite economiche considerevoli”. Così le segretarie confederali della Cgil Daniela Barbaresi e Maria Grazia Gabrielli, a proposito dell’impossibilità di percepire l’assegno per i lavoratori e le lavoratrici che non sono residenti in Italia da almeno due anni, o i cui figli non risiedono in Italia, e che non hanno un contratto di lavoro a tempo indeterminato o determinato della durata di almeno sei mesi.
Non gradito
È tanto vero che ciò che chiede l’Europa a Meloni non piace, nei giorni scorsi, nel suo video-messaggio, con il ministro Giorgetti sorridente alle spalle, la presidente Meloni ha usato parole al veleno nei confronti della Commissione europea. Non da meno è stata la ministra Roccella; ministra alla Famiglia non certo solo a quella italiana da più generazioni, secondo la quale quanto richiesto dall’Europa allargherebbe in modo incontrollabile la platea dei fruitori e renderebbe la misura insostenibile per la tenuta dei conti dello Stato.
Ciò che proprio non va
Secondo la legge attualmente in vigore non possono beneficiare dell’Assegno i lavoratori e le lavoratrici che non risiedono in Italia da almeno due anni o, se sono qui da tempo ma hanno lasciato i figli nei Paesi di origine o sono all’estero per motivi di studio. O ancora se non hanno un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato della durata di almeno sei mesi. Ovviamente queste limitazioni valgono sono per le lavoratrici e i lavoratori stranieri. Se italiani ma con figli all’estero, ad esempio, l’Assegno lo percepiscono ugualmente.
Ciò che dice l’Europa
Così non va, secondo Bruxelles: lavoratrici e lavoratori e i loro figli e figlie devono avere gli stessi diritti a prescindere da dove sono nati. La Commissione è intervenuta con una procedura di infrazione, in quanto tale regime determinerebbe una discriminazione nei confronti dei lavoratori mobili dell'Unione, violando il principio di parità di trattamento delle persone e i lavoratori mobili; i quali pagano le tasse e contribuiscono al sistema di sicurezza sociale allo stesso modo degli altri lavoratori e lavoratrici, quindi hanno diritto alle stesse prestazioni familiari.
I dati
Siccome i numeri dicono più delle parole stesse, Barbaresi e Gabrielli hanno provato a far di conto e i risultati sono lampanti. “Ma quello che Meloni, Roccella e Giorgetti non dicono è che molti lavoratori e lavoratrici, soprattutto migranti, oltre ad essere discriminati con il passaggio alla nuova misura hanno perso cifre considerevoli che prima percepivano”, dichiarano le segretarie confederali.
Qualche esempio
Un lavoratore dipendente con coniuge e due figli di 10 e 12 anni residenti all’estero, che nel 2020 aveva percepito un reddito di 25.300 euro l’anno, ha potuto beneficiare dal 1° luglio 2021 al 28 febbraio 2022 di 160,83 euro mensili di Assegno al nucleo familiare (Anf) e di 122 euro mensili di detrazioni fiscali (61 euro per ciascun figlio). Per lui, il passaggio all’Assegno unico ha determinato una perdita mensile di 282,83 euro e di 3.393,96 euro l’anno.
Ancora più pesante la perdita per una lavoratrice vedova e con due figli di 8 e 11 anni residenti all’estero, con un reddito da lavoro domestico percepito nel 2020 di 14.800 euro, alla quale dal 1° luglio 2021 al 28 febbraio 2022 spettava un Anf mensile di 257,25 euro a cui si aggiungevano 137 euro di detrazioni (69 euro per ciascun figlio): la sua perdita con il passaggio all’Assegno unico è stata di ben 394,25 euro al mese e 4.731,00 euro l’anno.
Arriva a 446,46 euro mensili e 5.357,52 euro l’anno la perdita di un lavoratore con coniuge e 3 figli di 2, 6 e 10 anni residenti all’estero, e un reddito da lavoro dipendente percepito nel 2020 di 30.200 euro, a cui spettava un Anf mensile di 249,46 euro e una detrazione mensile di 197 euro per i 3 figli, di cui uno minore di 3 anni.
Il governo non ascolta
Anzi si inalbera, e allora dopo la lettera di costituzione in mora di un anno fa, nel luglio scorso, la questione è stata deferita alla Corte di giustizia dell'Unione europea. Da qui la reazione un po’ scomposta della destra-centro al governo del Paese. Sbagliando anche i tempi, visto che proprio in queste ore la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen sta lavorando alla composizione del suo gabinetto e l’Italia, come si sa, non è messa benissimo.
Il sindacato insiste
“Per quanto riguarda la Cgil – proseguono Barbaresi e Gabrielli - ci opporremo a ogni tentativo di far cassa su lavoratori e lavoratrici, che peraltro pagano tasse e contributi, e all’utilizzo, ancora una volta strumentale, della questione immigrazione per distogliere l’attenzione dal problema da affrontare”.
Nulla di intentato
I diritti sono diritti e devono essere per tutte e per tutti. Per questo le dirigenti sindacati aggiungono: “Assieme al patronato Inca stiamo attivando tutte le azioni necessarie per porre rimedio a una discriminazione inaccettabile, per rendere esigibile il diritto di tanti minori e delle loro famiglie all’accesso a strumenti di sostegno. È inverosimile e paradossale – concludono - che un governo che ha costruito tanta parte della propria propaganda sull’incremento della natalità continui a deprivare molte famiglie dell’unico strumento strutturale sul quale è oggi possibile fare affidamento”.